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domenica 27 aprile 2025

Con l'IA generativa è necessario ripensare l'evoluzione dei sistemi segnici?



Ci deve pur essere stato un momento nella storia passata in cui l'apparire di una serie di orme lasciate da una gazzella nel terreno umidiccio della savana, una volta entrata nel campo attentivo, è stata associata al passaggio di un qualcosa che, se inseguito e ucciso, sarebbe diventato cibo per sfamare se stessi e il proprio clan. Sebbene questa sia un'astrazione poiché risulta effettivamente impossibile localizzare nel tempo o riprodurre empiricamente ed «esattamente» un tale evento (sorvolando qualsiasi teoresi diciamo che ancora non è disponibile una macchina per viaggi temporali), procedendo per ricostruzione storica inversa – e accettando un procedimento induttivo e genealogico – si può dire che c'è stato in momento in cui una traccia ricorrente ha assunto un dato significato per chi lo ha esperito. Così il cacciatore-raccoglitore, avendo una qualche forma di memoria utile ad avere cognizione della ricorrenza di quelle tracce sul terreno, ha potuto associare le orme al cibo. Le orme – diremmo noi oggi – sono diventate segno, un qualcosa che sta per qualcosa d'altro e che all'interno di un contesto assume, mediante atto interpretante, il connotato di una «informazione significativa» (da distinguersi da «informazione» intesa nei termini di Claude Shannon nella cosiddetta teoria dell'informazione). Lo stesso deve essere stato per un fulmine associato ad un eventuale incendio. Così come deve essere accaduto per le popolazioni Polinesiane che a detta di Giorgio de Santillana (Il mulino di Amleto) almeno dal 1000 a.C. hanno iniziato ad intravedere nelle reciproche relazioni geometriche soggiacenti la posizione delle stelle ricorrenze fisse che potevano rappresentarsi in mappe utili alla navigazione e come forme ancillari di relazioni matematiche. La storiografia canonica fa risalire tale prassi alle popolazioni mesopotamiche, specificatamente Assiri e Babilonesi. È noto, inoltre, che sia nell'arcipelago polinesiano sia in Mesopotamia come anche nell'antico Egitto e nella Grecia arcaica e classica l'uso funzionale e strumentale delle stelle (navigazione, calendari, attività agricole) si intreccia con il mito, la divinazione e l'astrologia. Un intreccio di «scientia» e credenze astrologiche di caratura simbolica che vede una massiccia presenza fino alla rivoluzione copernicana tra XVI e XVII secolo (se non e oltre); basta recarsi al Palazzo della Ragione a Padova dove nella sala maggiore realizzata intorno al 1300 si possono ammirare orologi a pendolo e strumenti scientifici insieme ad un grande ciclo astrologico composto da più di trecento riquadri ispirato dalle dottrine del medico, astronomo e astrologo Pietro d'Abano e in origine realizzato dal più grande pittore dell'epoca, Giotto.

Ora la questione è stabilire se c'è un filo comune – una relazione significativa – tra quelle tracce che ad uso dei cacciatori-raccoglitori si fanno segno e le strutture segniche più esemplari come i vari tipi di scrittura che via via si sono sviluppati nella storia a partire dal 3000 a.C. oppure addirittura le prime rappresentazioni rupestri ad opera dei Neanderthal risalenti a circa 64000 anni fa. Tenendo presente che tra questi due estremi – le tracce «naturali» che acquisiscono una funzione significante e l'organizzazione intensionale di segni a scopo comunicativo – vi è un intermezzo che vede l'uomo disseminare di segni e simboli il suo ambiente il quale, attraverso un gioco di rimandi di natura semiotica, da potenzialmente ostile diventa sempre più familiare, fino a consentire, grazie alle acquisite capacità espressive nelle arti come nella tecnica e al fare di conto, di ritenerci «intelligenti». Se questo filo sottile esiste anche solo nell'ambito di un dire astratto allora si può asserire che con esso si è intessuta, all'interno di un processo diacronico, la trama dello sviluppo culturale dei popoli che hanno abitato la terra.

Soffermandoci sulla scrittura come «strumento» comunicativo (o «tecnologia dell'intelletto» come sosteneva l'antropologo britannico Jack Goody) e come veicolo di precipue forme culturali, si è assistito a un progressivo passaggio da sistemi grafici iconico-referenziali – come gli ideogrammi, spesso ispirati a elementi naturali o artificiali riconoscibili nell'ambiente circostante – a sistemi sempre più astratti, caratterizzati da segni convenzionali privi di un legame diretto con il referente fisico. Tale astrazione ha comportato una radicale trasformazione della funzione del segno: da semplice rappresentazione figurativa a unità discreta all'interno di un sistema combinatorio in grado di codificare sia oggetti concreti sia concetti astratti. La potenza espressiva della scrittura, in questa evoluzione, non risiede più nella somiglianza tra segno e oggetto, ma nella struttura sintattica e nella capacità di generare significati attraverso la combinazione sistematica di elementi minimi. 

Tenendo in considerazione la secondarietà della scrittura rispetto al linguaggio ma anche il loro rapporto reciproco che ha una natura complessa, la questione diventa la seguente. Se l'Intelligenza Artificiale generativa (i modelli di linguaggio di grandi dimensioni) permette ad una macchina di dominare la complessità del linguaggio producendo serie di segni arbitrarie che appaiono essere significative e per giunta sempre più spesso indistinguibili da serie prodotte da essere umani, come l'IA generativa si pone all'interno dell'evoluzione dei sistemi segnici? Il filo conduttore di cui si è fatto cenno poc'anzi pone in relazione significativa, seppure per mezzo di graduali passaggi, le tracce lasciate da una gazzella sul terreno (e interpretate dal cacciatore-raccoglitore) e il testo prodotto da una IA generativa in risposta ad una nostra specifica richiesta (prompt)? L'automazione della produzione segnica alla base dei moderni modelli di linguaggio di grandi dimensioni rende qualitativamente differenti le costellazioni di segni che usualmente usiamo per decorare ad uso comunicativo il nostro ambiente? Rimanendo su questo piano, sono le combinazioni di segni inerenti a un testo che appare dotato di significato meno autentiche poiché prodotte da una macchina? Nel caso di incapacità o impossibilità nel distinguere l'origine di un testo si può continuare a porre la questione dell'autenticità intesa come marchio di provenienza (umano o macchina)? Non è l'IA generativa l'apice dell'abilità umana di produrre segni con cui veicolare messaggi e agire significativamente sul mondo? In questi termini, è l'IA generativa un medium che si fa messaggio?


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