La comprensione della «struttura originaria» [1] e dei suoi
concetti fondamentali richiede un approccio che vada oltre le categorie
tradizionali del pensiero occidentale, poiché tali categorie, definite da
Emanuele Severino come radicate nel nichilismo, isolano le determinazioni,
generando contraddizioni. In questo contesto, il pensiero originario si
configura come un superamento dell’astrazione e dell’isolamento semantico, concepiti
all’interno della «logica dialettica» e proponendo, quindi, un orizzonte in cui
ogni determinazione è necessariamente connessa a una totalità di senso. In
questa nota metodologica, cercheremo di delineare un percorso per avvicinarsi a
tale struttura, ricostruendo i passaggi e le intuizioni principali soprattutto
a carattere metodologico alla base della comprensione dell’originario.
La logica dialettica
La logica dialettica
rappresenta una delle costruzioni filosofiche più ambiziose e complesse nella
storia del pensiero occidentale. Essa si fonda sull’idea che il significato non
possa essere compreso come isolato, ma esista necessariamente in relazione al
proprio opposto e all’intero semantico. Questa prospettiva non si limita a
essere un metodo, ma si configura come una teoria semantica in cui ogni
significato implica l’intero del campo semantico. In tal senso, il pensiero di
Severino integra e riformula l’essenza del metodo dialettico hegeliano per
giungere alla struttura originaria del pensiero con legami evidenti con una
specifica forma di «olismo semantico».
La logica dialettica è stata discussa e impiegata da
pensatori che spaziano da Platone a Hegel, trovando in quest’ultimo il suo
sviluppo più sistematico. Hegel, nella sua Scienza della logica,
articola la dialettica come il movimento necessario del pensiero attraverso la
contraddizione, nel quale gli opposti non si escludono ma coesistono in una
sintesi superiore. Questo metodo è stato successivamente reinterpretato,
criticato e difeso da autori come Marx, Adorno, e, in un contesto più
analitico, da Severino.
Nel pensiero di Severino, la dialettica non è semplicemente
un movimento del pensiero, ma una struttura ontologica che afferma la relazione
necessaria tra l’essente e il suo opposto. La logica dialettica di Severino si
distingue nettamente dalla mera logica formale, ampliandone i confini senza
negarne i principi.
La concezione hegeliana della logica dialettica e la
prospettiva di Severino
Hegel afferma che la contraddizione non è un errore del
pensiero, ma il motore del divenire: la realtà si manifesta attraverso il
superamento (Aufhebung) delle opposizioni. La logica hegeliana si fonda
sull’idea che ogni determinazione concreta (tesi) incontri un limite che ne
produce il contrario (antitesi), il quale viene poi integrato in una sintesi.
Severino, pur riconoscendo il valore della dialettica
hegeliana, la critica come una forma di pensiero che rimane radicata nel
nichilismo, ovvero nella riduzione dell’essere al divenire. Egli propone una «riforma»
della dialettica che non si limiti a inglobare gli opposti in un divenire, ma
affermi la coimplicazione originaria degli opposti come eternamente presenti.
In Severino, quindi, la dialettica non è una dinamica del superamento ma
un’affermazione dell’inseparabilità originaria e necessaria degli opposti.
La dialettica e la logica formale: distinzione e
integrazione
La logica dialettica si distingue dalla logica formale
principalmente per il trattamento della contraddizione. La logica formale opera
sull’assunto del principio di non contraddizione: «A non può essere non-A». Al
contrario, la logica dialettica, in quanto teoria semantica, considera il
contraddittorio come intrinseco all’essere stesso. Essa non nega il principio
di non contraddizione, ma lo riconfigura all’interno di un contesto olistico
dove ogni significato implica necessariamente il proprio opposto e l’intero.
Alcuni autori sostengono che la logica dialettica è
un’estensione della logica formale. La logica dialettica non la rigetta, ma la
ingloba e la supera, mostrando come il significato formale sia un’astrazione
che presuppone il campo semantico più ampio della contraddizione. Questo
approccio permette alla logica dialettica di includere le formalizzazioni
classiche senza rimanere limitata ad esse, rivelandone al contempo i
presupposti ontologici.
La meta-regola per il pensiero originario
Per affrontare la questione del giudizio originario,
dell’apparire e della necessità, può essere utile estrarre per scopi didattici
una meta-regola che sintetizza l’approccio richiesto:
Meta-regola M: «Considerare ogni affermazione come
inseparabile dal campo (semantico) di verità in cui appare, riconoscendo che il
predicato non aggiunge nulla di estraneo al soggetto ma lo illumina,
mostrandone la Necessità intrinseca (ristabilire i nessi necessari)».
Questa regola si fonda sul riconoscimento che il giudizio
originario è un’affermazione in cui si realizza la struttura originaria. In
termini rigorosi, esso può essere formulato come: «Il pensiero è l’immediato»,
oppure, con maggiore precisione, «Tutto ciò che, nel modo che gli conviene,
è immediatamente noto, è l’immediato».
Tale definizione pone al centro il rapporto inscindibile tra il soggetto e il
predicato, intesi non come entità separate, ma come una sintesi in cui il
significato si illumina nella sua necessità.
Il giudizio originario esprime l’immediatezza del pensiero e
della presenza dell’essere. Come chiarito, questa immediatezza non è una
condizione soggettiva o psicologica, ma l’apertura in cui il soggetto e il
predicato si implicano reciprocamente. La struttura originaria è tale perché,
nell’apparire del giudizio, la relazione tra soggetto e predicato non può
essere astrattamente separata (ciò lo si analizzerà con maggiore precisione
quando si tratterà il «dire originario»). Infatti, il predicato conviene al
soggetto solo in quanto entrambi sono compresi nella totalità del campo
semantico originario.
Questa regola non si limita a un’operazione analitica, ma
funge da guida per pensare ogni determinazione come parte integrante della
totalità del significato. La separazione astratta tra soggetto e predicato
comporterebbe la negazione della loro identità strutturale, trasformando il
significato in un’entità isolata e, pertanto, contraddittoria. Il pensiero
dell’originario si oppone a tale isolamento, mostrando come ogni affermazione
trovi fondamento nella relazione necessaria con il tutto.
Non è sufficiente considerare un concetto o un’affermazione
in isolamento; essi devono essere visti nel loro legame necessario con il
tutto. Come esplicitato nella struttura originaria, l’isolamento di una parte
comporta una contraddizione, perché ciò che appare come distinto trova il
proprio significato nella relazione con l’intero. Ad esempio, il concetto di
una «lampada accesa» non può essere ridotto a «lampada» e «accensione»
considerate separatamente, ma è inseparabile dalla relazione in cui l’essere accesa
appartiene intrinsecamente alla lampada.
Questa necessità si fonda su una visione ontologica, dove
ogni apparire e ogni identità sono inseparabili dall’originario. Nella
struttura originaria, l’apparire è necessariamente l’apparire di sé stesso, e
ciò dissolve l’idea che possa esserci una relazione estrinseca tra ciò che
appare e il suo fondamento. Tale comprensione permette di superare le
contraddizioni implicite nell’isolamento delle determinazioni, riportando ogni
affermazione alla concretezza del tutto.
La meta-regola M, quindi, comporta alcuni principi
fondamentali da utilizzare come metodo:
- Riconoscere
l'unità ontologica del soggetto e del predicato: Ogni proposizione non
deve essere trattata come un’aggiunta esterna di un predicato a un
soggetto, ma come la manifestazione di un’identità originaria e
necessaria. Il predicato non è altro che la manifestazione di ciò che il
soggetto già è nella sua essenza più profonda.
- Rifiutare
l'estraneità e l'arbitrarietà: Nulla può essere affermato di un
soggetto che non ne esprima la struttura intrinseca. Evitare di trattare
il pensiero come una costruzione esterna, ossia evitare di «importare»
significati da fuori, perché ogni «importazione» disloca la verità
nell’ambito del contingente, del possibile, e quindi del nichilistico.
- Procedere
secondo la Necessità e non la contingenza: In ogni affermazione,
cercare ciò che non può essere altrimenti, rifiutando interpretazioni che
lasciano spazio alla possibilità che l’essere stesso possa essere nulla.
Ogni significato deve essere cercato come espressione di una struttura
dove la verità è assoluta e quindi non sottoposta al divenire o alla
contraddizione.
- Pensare
all’interno della «Struttura del Dire»: Il dire originario non è un «dire
di» qualcosa da parte di un soggetto, ma è l’apparire stesso delle
relazioni, delle cose e del loro significare. Così, ogni proposizione
diventa espressione di una verità che è sempre stata e che non dipende
dall’intelletto umano, ma lo precede (tali concetti saranno approfonditi
nel seguito).
Isolamento semantico e contraddizione
Un punto centrale per comprendere la struttura originaria è
riconoscere che ogni isolamento semantico, ovvero ogni tentativo di separare
una determinazione dal contesto dell’originario, genera una contraddizione.
Questo isolamento, che Severino definisce come il «concetto astratto
dell’astratto», non implica semplicemente una limitazione del significato,
ma conduce a una negazione implicita del principio stesso di non
contraddizione. Pensare, ad esempio, l’identità come separata dal contesto in
cui si manifesta equivale a privarla della necessità che la definisce. Se
consideriamo «A è A» indipendentemente dalla sua relazione a ciò che non è A,
ci ritroviamo a dover affermare, implicitamente, che A possa essere anche altro
da sé: una contraddizione insostenibile sul piano logico e semantico.
Per chiarire la distinzione tra contraddizione dialettica e
contraddizione normale, è utile introdurre esempi concreti. Una contraddizione
normale, nel senso della logica formale, si verifica quando affermiamo
simultaneamente che una proposizione è vera e falsa nello stesso contesto: ad
esempio, dire che «Questa sedia è interamente rossa e interamente non rossa
nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto» – qui citato nella forma aristotelica
dove c’è l’aspetto temporale che è intrinsecamente nichilistico - viola il
principio di non contraddizione e rappresenta un errore logico evidente. Questa
contraddizione è considerata un problema da risolvere o eliminare per
preservare la coerenza del sistema.
La contraddizione dialettica, invece, non si limita a essere
un errore da evitare, ma diventa il punto di partenza per una comprensione più
profonda del significato. Nel contesto della logica dialettica, la
contraddizione emerge come una tensione necessaria che esprime la relazione
inscindibile tra opposti. Ad esempio, la relazione tra identità e differenza:
l’identità di una determinazione implica necessariamente la differenza rispetto
a tutto ciò che non è quella determinazione. Negare questa relazione equivale a
negare l’identità stessa, che può esistere solo all’interno di un contesto in
cui coesistono identità e differenza. La contraddizione dialettica, dunque, non
va eliminata ma compresa come una coimplicazione tra termini che sono
apparentemente opposti ma in realtà inseparabili.
Per superare questa contraddizione, è necessario adottare un
pensiero che rifiuti l’astrazione isolante e si fondi sulla concretezza. La
concretezza, nel senso severiniano, non significa eliminare le determinazioni
particolari, ma ricondurle al loro fondamento originario, ovvero alla totalità
che ne garantisce il senso. Pensare concretamente significa riconoscere che
ogni determinazione appare all’interno di una relazione complessiva con
l’intero. Prendiamo l’esempio della relazione semantica fondamentale
(RSF) definita da Francesco Berto come [2]: ogni significato è
necessariamente in relazione al suo opposto e all’intero campo semantico.
Pensare una determinazione, come «rosso», senza implicare il suo contrario, «non-rosso»,
e l’intero contesto delle determinazioni cromatiche, è concepire il «rosso» in
maniera astratta, svuotandolo della sua consistenza semantica.
In questo senso, la «concretezza dell’astratto» non implica
la cancellazione dell’astratto, ma il suo ritorno al contesto totalizzante che
gli dà significato. Per esempio, il concetto di «giustizia» isolato dal
contesto sociale, storico e relazionale in cui si sviluppa, diventa
un’astrazione priva di senso pratico e teorico. Solo riconducendo «giustizia»
al suo orizzonte complessivo – come relazione, tensione e mediazione tra
opposti (ad esempio, tra diritto e morale, o tra individuo e collettività) – è
possibile comprenderne la portata e la necessità. La concretezza è dunque il
riconoscimento che ogni significato è radicato nella totalità dell’essere (e
del significato), e che ogni tentativo di pensarlo isolatamente conduce alla
contraddizione astratta e, in definitiva, al fraintendimento del reale.
Il dire originario e il superamento del nichilismo
occidentale
Il concetto di dire originario costituisce il nucleo
della riflessione di Emanuele Severino sulla struttura della Necessità e il
superamento del nichilismo occidentale. Questo dire si distingue dal dire
nichilistico o occidentale, che è radicato nell’isolamento delle
determinazioni e nella separazione tra soggetto e predicato. Per comprendere
appieno il dire originario, è fondamentale analizzare come esso superi la
logica attributiva tradizionale, evidenziando la relazione originaria tra
soggetto e predicato e mostrando come ogni predicazione sia radicata nella
totalità del campo semantico.
Il dire originario e il dire nichilistico
Il dire originario è l’affermazione che ogni
significato è parte integrante del tutto, e non può essere separato dal
contesto della totalità semantica. Nel dire originario, il soggetto e il
predicato non sono isolati l’uno dall’altro, ma sono in una relazione che si
costituisce come identità originaria. Questo si oppone al dire nichilistico,
tipico della tradizione occidentale, che tende a isolare i significati,
trattandoli come enti autonomi. L’isolamento porta alla contraddizione
intrinseca, poiché ogni significato è, per Necessità, sempre già in relazione
con l’intero.
L’identità originaria: A ( = B) = B ( = A)
Un esempio paradigmatico del dire originario è
l’affermazione (A = B) = (B = A). Questa equazione non si limita a
indicare una relazione di uguaglianza tra due termini, ma esprime l’identità
originaria tra il soggetto e il predicato. Ad esempio, dire che «questa lampada
è accesa» implica che l’essere accesa appartiene intrinsecamente alla lampada,
e non può essere pensato separatamente da essa. In questo senso, la relazione
tra soggetto e predicato non è una semplice attribuzione, ma una relazione
reciproca e necessaria, dove il predicato è già incluso nel significato del
soggetto.
Esempio della lampada accesa: una relazione di relazione
Consideriamo l’esempio offerto da Severino: «Questa
lampada è accesa». Qui, il soggetto («questa lampada») e il
predicato («essere accesa») non possono essere considerati isolatamente. Se si
tenta di separare il significato della lampada dal suo essere accesa, si
produce una contraddizione, poiché la lampada senza il suo stato di essere
accesa non è più la stessa lampada. Invece, nel dire originario, si afferma che
la lampada è accesa significa che «l’essere accesa appartiene
necessariamente a questa lampada accesa» e viceversa. Questa identità è
espressa come (A = B) = (B = A), dove il significato del predicato («essere
accesa») è inseparabile dal significato del soggetto («questa lampada»).
La relazione originaria tra soggetto e predicato
Secondo Severino, il soggetto non può essere isolato dal
predicato, poiché il loro legame è parte integrante della struttura
dell’originario. Ogni predicazione, come «A è B», implica che il predicato (B)
non è un’aggiunta esterna al soggetto (A), ma un momento del significato del
soggetto. In altre parole, il campo semantico del soggetto include già il
predicato, così che ogni affermazione esprime una totalità di senso. Isolare il
soggetto dal predicato, come avviene nel dire nichilistico, equivale a negare
la coerenza semantica dell’originario, generando aporie e contraddizioni.
Il predicato come incluso nel campo semantico del
soggetto
Dire che il predicato è compreso nel campo semantico del
soggetto significa che il predicato non è un’alterità assoluta rispetto al
soggetto, ma è già parte del suo significato. Ad esempio, «questa lampada è
accesa» non può essere compreso come una mera giustapposizione di «questa
lampada» e «essere accesa». Piuttosto, il predicato «essere accesa» è il modo
in cui la lampada si manifesta, ed è quindi incluso nel significato stesso di «questa lampada». Questa inclusione dissolve l’illusione dell’isolamento
semantico, mostrando che ogni predicazione è una relazione originaria e
necessaria.
Il dire originario, come descritto da Severino, è una
testimonianza della Necessità e della totalità del significato. Esso supera il
dire nichilistico, radicato nell’isolamento e nella separazione, mostrando che
ogni affermazione è una sintesi necessaria in cui il soggetto e il predicato
sono inseparabilmente connessi. Attraverso esempi concreti come quello della
lampada accesa, Severino illustra come ogni significato sia sempre già parte di
una relazione di relazione, che è il cuore della struttura originaria. Questa
comprensione dissolve le aporie del pensiero tradizionale e apre la via a una
visione integrale e necessaria della verità.
L’apparire come fondazione dell’apparire
Un esempio paradigmatico del pensiero dell’originario è il
concetto di apparire (legato ne «La struttura originaria» al concetto di
F-immediatezza, esposto più avanti). In «La struttura originaria»,
l’apparire non è mai un evento isolato, ma è sempre l’apparire di un apparire,
una struttura che si fonda nella necessità. Pensare l’apparire come un fatto
autonomo porterebbe a un regresso infinito, in cui ogni apparire dipende da un
altro per il proprio fondamento. Al contrario, l’apparire, nella sua
concretezza, include immediatamente la propria fondazione: ogni apparire è già
l’apparire di sé stesso. Questo riconoscimento dissolve la contraddizione
implicita nell’isolamento, mostrando come ogni apparire sia un momento di una
totalità che si manifesta necessariamente.
Un esempio paradigmatico del pensiero dell’originario è il
concetto di apparire. In «La struttura originaria», Severino mostra come
l’apparire non possa essere inteso come un evento autonomo e isolato, bensì
come una realtà costitutivamente articolata in tre momenti. Questi momenti
sono: (1) l’apparire del contenuto specifico, (2) l’apparire dell’apparire
stesso come struttura, e (3) l’apparire della totalità dei significati che si
danno nell’apparire. Questa triplice articolazione è necessaria, poiché ogni
momento rimanda agli altri senza possibilità di regressus.
La dimostrazione della necessità di questa struttura emerge
dal fatto che, se si affermasse che l’apparire non appare, si cadrebbe in una
contraddizione. Dire che «l’apparire non appare» equivale a dire che l’apparire
è assente, ma questo stesso atto di negazione presuppone un apparire: il «non
apparire» può essere pensato e pronunciato solo nell’orizzonte di un apparire.
Negare l’apparire significa, dunque, presupporre la sua presenza, poiché l’atto
stesso di negarlo appare. L’apparire è quindi innegabile: esso è il fondamento
originario che rende possibile ogni significato, compreso il significato della
negazione stessa [3].
La necessità della triplice struttura dell’apparire
Perché i momenti dell’apparire sono precisamente tre? La risposta risiede nella
natura immediata e non mediata dell’apparire stesso. Non si dà apparire senza
che vi sia un contenuto che appare; ma questo contenuto non può essere pensato
come separato dall’atto stesso dell’apparire, che è l’apparire del contenuto.
Inoltre, l’apparire di un contenuto specifico non può essere compreso senza
l’orizzonte complessivo in cui esso si inscrive: l’apparire della totalità dei
significati. Questi tre momenti non sono separabili: essi sono strutturalmente
co-implicati e non possono ridursi a un’unità semplice senza negare la
concretezza stessa dell’apparire.
Il significato del termine «coscienza» in Severino
In questo contesto, è importante chiarire che Severino utilizza il termine «coscienza» con un significato specifico, diverso da quello comune.
Non è da intendersi come la semplice autoconsapevolezza soggettiva tipica del
senso comune, ma come la manifestazione stessa dell’apparire strutturato. La «coscienza» è l’apparire del contenuto, dell’atto dell’apparire e
dell’orizzonte totale in cui questo si colloca. Essa non è un fenomeno
psicologico, ma la dimensione in cui l’esser sé dell’essente (e il suo non
essere altro) si manifesta.
Superamento del regressus
Se si concepisse l’apparire come un evento isolato, che richieda un altro
apparire per essere fondato, si cadrebbe in un regresso infinito. Questo
regresso è superato dal riconoscimento che ogni apparire include immediatamente
il proprio fondamento nella sua struttura: è l’apparire di sé stesso, in cui il
contenuto, l’atto dell’apparire e la totalità dei significati si manifestano
insieme e necessariamente. La triplice struttura non è un’ipotesi o
un’interpretazione, ma la condizione di possibilità dell’apparire stesso.
La totalità del significato come fondamento
Un elemento essenziale della metodologia è il rapporto
inscindibile tra le determinazioni particolari e la totalità del significato.
Ogni determinazione – sia essa l’identità, l’apparire o l’essere stesso – trova
la propria verità e consistenza non in sé, come se fosse autonoma e
indipendente, ma nella relazione necessaria con il tutto. Questo principio, che
Severino definisce come il nesso olistico del significato, afferma che ogni
determinazione non è mai isolabile senza perdere il proprio senso. La totalità
del significato, dunque, non è un semplice aggregato di parti, ma il fondamento
trascendentale che dà senso e coerenza a ogni determinazione. Lascia «fuori»
unicamente il nulla assoluto, che però non è un ente distinto o un'alterità
reale, bensì la negazione stessa del senso: un non-essere che non può mai
apparire come qualcosa di reale e significativo.
Il nulla, nel pensiero severiniano, non è un semplice vuoto
o una mancanza, ma una contraddizione intrinseca al pensiero che tenta di
affermarlo come qualcosa di determinato. Ogni posizione del nulla come «essente»
è negata dal principio stesso del significato, che richiede una relazione al
tutto. In tal senso, il nulla è ciò che emerge dal tentativo di pensare un
significato come separato dall’intero, un’impresa che porta inevitabilmente
all’isolamento semantico e alla contraddizione dialettica.
Un esempio concreto di questa struttura si trova nel
concetto di identità come «identità di identità». In una prospettiva
puramente astratta, si potrebbe pensare l’identità come un’affermazione statica
e autoreferenziale: «A è A». Tuttavia, questa formulazione, se isolata dal
contesto del tutto, come abbiamo visto nella «struttura originaria del dire»
non è sostenibile. L’identità non può essere ridotta a un’autosufficienza,
perché il suo essere identica a sé stessa dipende necessariamente dalla
relazione al proprio opposto e al campo semantico complessivo. Questo significa
che l’identità di un significato non è data soltanto dal suo rapporto con sé,
ma anche dal suo essere diverso da ciò che non è, e dall’esser parte della
totalità semantica che lo comprende. In simboli, ciò che Francesco Berto chiama
relazione semantica fondamentale (RSF) mostra che «A è A» coimplica «non-A» (negazione
infinita di A) e, più radicalmente, la totalità dell’intero.
Separare l’identità dalla totalità del significato creerebbe
una contraddizione fondamentale: l’identità apparirebbe come un’entità isolata
e priva di fondamento, ridotta a un puro astratto che si svuota del proprio
significato. La concretezza dell’identità, invece, emerge nel momento in cui
essa è pensata come necessaria relazione all’intero, ovvero come parte di un
contesto in cui il suo essere identico a sé stesso coimplica il rapporto con
ciò che è altro da sé.
Ad esempio, nella sfera delle determinazioni linguistiche,
consideriamo il termine «rosso». La parola «rosso» non ha significato
isolatamente, ma solo nella relazione con altre determinazioni, come i suoi
contrari («non-rosso», «blu», «giallo») e il contesto semantico in cui è
collocata. Pensare «rosso» come assoluto, svincolato dal sistema di
relazioni cromatiche e percettive che lo definiscono, significa trasformarlo in
un’astrazione vuota, priva di senso concreto.
Questo principio di totalità, affermato dalla dialettica
severiniana, non è semplicemente un postulato metodologico, ma una struttura
ontologica fondamentale. Ogni determinazione non è solo un momento della
totalità, ma esiste esclusivamente perché in relazione necessaria con essa. La
metodologia della struttura originaria, quindi, non si limita a descrivere le
relazioni tra i significati, ma fonda ogni significato sulla totalità del campo
semantico e ontologico in cui è incluso. Solo riconoscendo questo radicamento
nella totalità si può comprendere la concretezza e il senso pieno di ogni
determinazione.
Il concreto, l’astratto e i loro concetti nella struttura
originaria
Nel pensiero di Emanuele Severino, i concetti di concreto,
astratto, concetto astratto dell’astratto e concetto concreto
dell’astratto sono strumenti essenziali per comprendere la struttura
originaria. Essi si sviluppano come momenti necessari di una riflessione che
supera le contraddizioni dell’isolamento semantico e riconduce ogni
determinazione al suo legame intrinseco con l’originario. Di seguito
analizzeremo il significato di questi termini e il loro uso, corredati da
esempi specifici.
Il concreto è ciò che si manifesta nella totalità
delle sue connessioni. Non è una determinazione isolata, ma un momento che
appare nel contesto necessario della struttura originaria. Come affermato da
Severino, il concreto non è semplicemente la somma delle parti, ma la relazione
in cui le parti si implicano reciprocamente e si fondano nella totalità
semantica.
L’astratto, invece, è una determinazione isolata, un
elemento del concreto separato dalla sua connessione necessaria con il tutto.
Questa separazione lo rende intrinsecamente contraddittorio, poiché
un’astrazione assoluta non può esistere senza il concreto da cui è stata
astratta. L’astratto non è negato in quanto tale, ma in quanto separato
dall’originario.
Il concetto astratto dell’astratto rappresenta una
contraddizione logica e ontologica. Esso afferma una determinazione come
indipendente dalla struttura originaria, separandola dalla necessità che la
connette al tutto. Per esempio, dire che «A è A» senza riconoscere la
connessione necessaria di A al tutto significa isolarlo, il che porta a
identificarlo, paradossalmente, con «non-A».
Il concetto concreto dell’astratto, invece, supera
questa contraddizione. Esso riconosce che l’astratto è un momento del concreto,
che non può essere compreso senza riferirlo alla totalità del significato. In
questo senso, il concreto dell’astratto non elimina l’astrazione, ma la riporta
al suo fondamento necessario. Per Severino, il concreto dell’astratto è il
riconoscimento che l’apparente autonomia dell’astratto è sempre già compresa
nella relazione con il tutto.
Un esempio
Immaginiamo una lampada accesa. Considerare la «lampada» e
l’«essere accesa» come elementi separati implica un concetto astratto
dell’astratto: si isolano due aspetti che, nella realtà, non esistono
indipendentemente l’uno dall’altro. La lampada accesa, invece, è un esempio del
concetto concreto dell’astratto: l’essere accesa è inseparabilmente legato alla
lampada come sua determinazione concreta. Questo esempio mostra come il
pensiero debba superare l’isolamento semantico per cogliere la totalità del
significato.
Uso metodologico
La distinzione tra concreto e astratto, e tra i loro
concetti, non è solo descrittiva, ma offre una metodologia per il pensiero:
- Riconoscere
il legame necessario tra le determinazioni e il tutto: Ogni
affermazione deve essere vista come parte di una totalità. Separare una
determinazione dal contesto originario significa cadere in contraddizione.
- Superare
il concetto astratto dell’astratto: Non è sufficiente analizzare le
parti in isolamento; è necessario vederle nel loro rapporto essenziale con
la totalità.
- Affermare
il concreto dell’astratto: L’astratto non è negato, ma riconosciuto
come momento del concreto. Questa prospettiva dissolve l’illusione
dell’isolamento e restituisce ogni determinazione al suo fondamento
originario.
In conclusione, il pensiero di Severino invita a una
comprensione organica e necessaria del reale-concreto, dove ogni determinazione
è vista come inseparabilmente connessa al tutto. Questo approccio non solo
supera le contraddizioni dell’astrazione, ma offre una via per cogliere la
struttura originaria nella sua pienezza.
È possibile, quindi, concepire il piano concreto dell’astratto?
La concezione dell'astratto in concreto è possibile solo se
si supera l'isolamento astratto, cioè la separazione di una determinazione
dalla sua connessione necessaria con l'originario. Il cosiddetto «concetto
concreto dell'astratto» è esattamente questo: non si limita a concepire una
determinazione astratta isolata (che è sempre contraddittoria), ma vede tale
determinazione come necessariamente connessa all’intero, ossia alla struttura
della totalità. In tal modo, l'astratto può essere posto in un contesto in cui
trova il proprio significato concreto, perché appare non più isolato, ma
radicato nella connessione necessaria all’originario.
Questa «concretezza dell’astratto» implica un metodo di
pensiero che consiste nel riconoscere in ogni determinazione la necessità del
suo riferimento al tutto e, quindi, il superamento della sua apparente
indipendenza. Il metodo per rendere concreto l’astratto è dunque:
- Collegamento
all’originario: Ogni determinazione astratta deve essere vista come
parte di un sistema di significato in cui essa è necessariamente connessa
al tutto, evitando così l'isolamento contraddittorio che si produce nel «concetto
astratto dell'astratto».
- Inclusione
dell’eccedenza semantica: Ogni determinazione deve essere interpretata
non come un semplice «contenuto separato», ma come una parte di un
significato eccedente che si estende oltre essa. Questo significa
considerare l’astratto come costantemente riferito a un orizzonte di senso
che lo include e lo fonda.
- Negazione
della negazione: Il concetto astratto, per diventare concreto, deve
superare la propria autocontraddizione. Questa negazione della negazione
non è la semplice eliminazione del significato, ma il rivelarsi del
concetto astratto come un momento che, riferendosi al concreto, trova la
propria coerenza nella totalità del senso.
In pratica, lavorare sul «piano concreto dell’astratto»
significa assumere l’astratto come parte di un’unità in cui il concreto e
l’astratto non sono separati, ma si fondano reciprocamente, dissolvendo così
ogni possibilità di isolamento o di contraddizione dialettica.
Esempio: La lampada accesa
Consideriamo l’esempio della lampada accesa. Se si
tenta di pensare «la lampada» come indipendente dal suo stato di essere accesa,
sappiamo che si cade nel concetto astratto dell’astratto. La lampada, senza il
suo essere accesa (o spenta), non è più la lampada completa: perde la sua
determinazione come tale. Questo isolamento conduce alla contraddizione, poiché «la lampada» isolata dallo stato di essere accesa diventa un concetto astratto
e autocontraddittorio.
Nel concetto concreto dell’astratto, invece, «la lampada
accesa» è considerata nella sua totalità, dove lo stato di essere accesa è
compreso come un momento necessario del suo essere lampada. In questo modo,
l’astratto («lampada») è ricondotto alla sua connessione con il concreto
(«essere accesa»), dissolvendo l’autocontraddizione.
Negazione della negazione
La transizione dal concetto astratto dell’astratto al
concetto concreto dell’astratto si realizza attraverso la negazione della
negazione. Nel caso della lampada, questo processo può essere compreso
così:
- Prima
negazione: La separazione della lampada dal suo essere accesa
(isolamento astratto).
- Negazione
della negazione: Il riconoscimento che l’isolamento è
autocontraddittorio e che la lampada è ciò che è solo in relazione al suo
stato di essere accesa.
Questa seconda negazione non elimina l’astratto («lampada»)
ma lo integra nella connessione concreta, restituendogli la coerenza semantica
all’interno del tutto.
Definizioni e differenze tra «distinzione» e «isolamento»
in Severino
Definizione di «distinzione»: La distinzione,
nel pensiero di Severino, è un momento fondamentale della struttura originaria.
Essa implica il riconoscimento della diversità all'interno della totalità,
senza che questa diversità separi i termini distinti dalla loro appartenenza
all'intero. La distinzione non rompe l'unità dell'originario, ma è il modo in
cui l'intero si articola nei suoi molteplici significati. In questo senso, la
distinzione appartiene al piano base della struttura originaria ed è
cooriginaria all'apparire delle determinazioni dell'essere.
Definizione di «isolamento»: L'isolamento, al
contrario, è il tentativo di separare una determinazione dal tutto, trattandola
come autonoma e indipendente. Questo atto produce una rottura con la totalità
semantica dell'originario, generando contraddizioni e aporie. L'isolamento, nel
contesto severiniano, è l'origine del nichilismo occidentale, poiché considera
gli enti come separati dalla necessità e dal tutto, riducendoli così a «niente».
Differenza tra distinzione e isolamento
La differenza principale tra distinzione e isolamento
risiede nel loro rapporto con l'originario:
- Distinzione:
È una modalità interna alla struttura dell'originario, che mantiene i
termini distinti nella loro relazione necessaria con il tutto. Ad esempio,
nella distinzione tra soggetto e predicato, entrambi sono riconosciuti
come momenti dell'identità originaria, senza che questa venga negata.
- Isolamento:
Implica una negazione del legame con l'intero. Una determinazione isolata
diventa astratta e priva di fondamento, generando contraddizioni come la
contraddizione C (che sarà trattata più avanti). Ad esempio, isolare un
ente dal suo essere significa trattarlo come un niente, negando la sua
connessione necessaria con il tutto.
Implicazioni metodologiche
La distinzione permette di articolare il significato senza
rompere la totalità, mentre l'isolamento crea aporie che devono essere tolte
riconducendo le determinazioni isolate al campo semantico dell'originario.
Pertanto, in logica dialettica la comprensione del rapporto tra distinzione e
isolamento è essenziale per superare le contraddizioni nichilistiche e accedere
alla struttura originaria della verità.
La negazione della negazione e il concetto di fondamento
Un passaggio metodologico essenziale nel pensiero di
Severino, come abbiamo visto, è il concetto di «negazione della negazione».
Questo termine, spesso associato alla dialettica, assume un significato
profondamente specifico nella struttura originaria: ogni negazione è
necessariamente legata a ciò che nega. La negazione non è mai isolata o
autosufficiente, ma si determina in relazione a ciò che afferma implicitamente
attraverso il proprio atto di negare. Questo legame è ineludibile, poiché
negare l’esistenza di qualcosa significa già presupporre l’apparire di un
contesto in cui la negazione stessa ha senso. Da ciò emerge che il superamento
della contraddizione avviene non attraverso un mero annullamento dialettico, ma
nel riconoscimento che la negazione stessa è parte di una totalità più ampia
che la include e la fonda.
Ad esempio, negare la presenza di una determinazione implica
necessariamente il riconoscimento dell’intero campo semantico e fenomenologico
in cui tale determinazione è collocata. Dire «non c’è X» significa già situare
X all’interno di un orizzonte di significati in cui X è pensabile, sia pur come
negato. In questo senso, ogni negazione attesta la presenza di ciò che si nega,
non come realtà autonoma, ma come parte di una relazione strutturale. Il
riconoscimento di questa relazione dissolve la contraddizione, mostrando che
ogni negazione è già fondata nella necessità della totalità in cui si inscrive.
Il significato di «fondamento» in Severino
Alla luce di questo, il termine «fondamento» in Severino si definisce come ciò
che si manifesta necessariamente come condizione di possibilità di ogni
determinazione, relazione e negazione. Il fondamento non è qualcosa di
ulteriore o separato rispetto alla struttura originaria, ma è l’apparire stesso
nella sua totalità e necessità. Ogni determinazione dell’essere è fondata
perché appartiene a un tutto che si manifesta originariamente come innegabile.
Negare questo tutto, o isolarne una parte, conduce inevitabilmente a una
contraddizione, poiché il negare stesso si fonda sull’apparire della totalità
che rende possibile ogni significato.
Il ruolo della totalità nella negazione
Questo riconoscimento della totalità è ciò che consente di superare la
contraddizione implicita in ogni negazione. Nel pensiero severiniano, ogni
negazione implica l’affermazione di una struttura più ampia che include ciò che
si nega e rende possibile l’atto stesso della negazione. La contraddizione non
è quindi annullata o negata, ma trascesa attraverso il riconoscimento che il
fondamento della negazione non è altro che la totalità dell’essere che si
manifesta necessariamente.
Necessità del tutto
In Severino, la «negazione della negazione» non è un procedimento
logico-astratto, ma un momento di testimonianza dell’eternità dell’essente.
Ogni atto di negazione, lontano dall’essere un evento isolato, attesta la
necessità del tutto in cui l’essente si manifesta e in cui la negazione stessa
trova senso. Questo processo oltrepassa il nichilismo implicito nella negazione
isolata, mostrando che la verità dell’essere non solo non può essere negata, ma
è già sempre manifesta come condizione originaria e necessaria di ogni
apparenza.
Immediatezza, Mediatezza, L-immediatezza e F-immediatezza
nella struttura originaria
Nel quadro filosofico di Emanuele Severino, i concetti di
immediatezza e mediatezza, declinati in particolare nelle forme della L-immediatezza
e della F-immediatezza, costituiscono pilastri fondamentali per
comprendere la struttura originaria della verità e dell’essere. Questa nota
metodologica esplora tali concetti, il loro significato e i loro usi, con
l'obiettivo di chiarire come si articolino nella riflessione severiniana.
L’immediatezza è definita come il carattere di ciò
che si manifesta direttamente, senza la necessità di mediazione. Essa
rappresenta una presenza immediata e completa, in cui il contenuto è dato come
interamente presente e autosufficiente. La mediatezza, al contrario,
implica un riferimento ad altro (un medio) per essere compresa o fondata; è il
carattere di ciò che si dà tramite un processo relazionale o inferenziale.
La F-immediatezza è l’immediatezza fenomenologica,
cioè l’affermazione diretta di un contenuto specifico nell’orizzonte del
presente. Essa si presenta come la «presenza immediata» delle singole
determinazioni ontiche, comprese come parti della totalità del F-immediato. È
importante sottolineare che la F-immediatezza non è isolata, ma è inclusa
immediatamente nella totalità dell’essere F-immediato, costituendo così una
dimensione auto-fondante della verità.
La L-immediatezza, invece, si caratterizza per la sua
dimensione logica. Essa rappresenta non solo la presenza immediata di un
contenuto, ma l’affermazione dell’identità e dell’incontraddittorietà di quel
contenuto. In termini concreti, la L-immediatezza non si limita a un’affermazione
esistenziale, ma comprende la struttura formale che garantisce la coerenza
logica del contenuto affermato.
Relazione tra L-immediatezza e F-immediatezza
Un elemento cruciale della riflessione severiniana è la
relazione tra L-immediatezza e F-immediatezza. La F-immediatezza costituisce il
fondamento fenomenologico della presenza, ma la sua validità si manifesta anche
attraverso la L-immediatezza, che ne garantisce la coerenza logica. In altre
parole, l’essere che è F-immediato deve essere anche L-immediato per non cadere
in contraddizione. Questo rapporto evidenzia la complessità semantica
dell’originario, dove ogni dimensione immediata non è mai separata dalla
totalità che la comprende.
Un aspetto metodologico importante è il superamento
dell’isolamento delle immediatezze. Quando la F-immediatezza è considerata in
astratto, senza la connessione con la L-immediatezza, si genera un’aporetica
che può portare a una regressione infinita. La soluzione proposta da Severino
consiste nel riconoscere che la F-immediatezza è già inclusa nella
L-immediatezza, dissolvendo così ogni apparente opposizione.
Un esempio
Consideriamo l’affermazione: «L’essere è immediatamente
presente». Dal punto di vista della F-immediatezza, questa affermazione indica
una presenza diretta e fenomenologica dell’essere. Tuttavia, affinché questa
affermazione sia valida, deve anche essere garantita la sua
incontraddittorietà, che è il dominio della L-immediatezza. Senza tale
garanzia, l’affermazione fenomenologica rimarrebbe vulnerabile all’obiezione
logica che negherebbe la sua coerenza. Questo esempio illustra come le due
forme di immediatezza siano inseparabilmente connesse e necessarie per la fondazione
della verità.
Uso metodologico
La comprensione dell’immediatezza e della mediatezza
richiede un approccio che eviti l’isolamento astratto di queste dimensioni. In
particolare:
- Integrare
F-immediatezza e L-immediatezza: Riconoscere che ogni affermazione
fenomenologica (F-immediatezza) deve includere la coerenza logica
(L-immediatezza) per essere valida.
- Superare
l’astrazione: Non considerare l’immediatezza come una presenza
separata, ma come una manifestazione della totalità in cui essa è inclusa.
- Evitare
il regressus in indefinitum: Considerare ogni immediatezza come
auto-fondata nella totalità del significato, senza richiedere un
fondamento esterno.
In conclusione, l’immediatezza e la mediatezza, nelle loro
articolazioni di F-immediatezza e L-immediatezza, rappresentano un invito a
comprendere la verità non come una serie di affermazioni isolate, ma come una
totalità coesa e necessaria. Questo approccio, radicato nella struttura
originaria, supera le contraddizioni del pensiero astratto e offre una visione
integrale del reale.
Ancora sul mediato
Il mediato, metodologicamente, è cruciale per due ragioni
principali. La prima è che esso impedisce di concepire l'immediatezza come un
dato assoluto e indipendente. La seconda è che esso permette di comprendere
come ogni significato particolare sia in relazione necessaria con il tutto. Per
Severino, il mediato non è mai un semplice passaggio o strumento concettuale,
ma è il luogo stesso dove il senso dell'essere si articola nella concretezza
del dire.
Un esempio chiave offerto nella Struttura Originaria
aiuta a chiarire questa dinamica. Supponiamo di considerare la relazione tra
una totalità (A), una parte (B) e un intermediario, che qui possiamo chiamare «maggiore della parte» (M). In questa relazione:
- A
è la totalità, il tutto;
- M
è ciò che è maggiore della parte, un momento di significanza intermedio;
- B
è una parte del tutto.
Severino sottolinea che M conviene L-immediatamente ad
A, cioè è un significato che appartiene necessariamente alla totalità.
Tuttavia, B, in quanto parte, è un momento della significanza di M, e quindi si
trova in una relazione mediata rispetto ad A. In questo senso, B appartiene
necessariamente ad A, ma non in modo diretto: il suo rapporto con A è mediato
da M. Senza B, tuttavia, M perderebbe la sua coerenza e non potrebbe più
convenire ad A.
Questa relazione ci mostra come il mediato non sia mai
separabile dall’immediatezza. Se il mediato (B) venisse isolato o negato,
l’intera struttura della significanza collasserebbe. In altre parole, la
mediazione non è un accidente o un espediente, ma un momento necessario per la
coerenza logica della relazione tra totalità e parte.
Un passaggio fondamentale della Struttura Originaria
recita: «La significanza di A non è posta se non è posto il significato B,
poiché B è un momento semantico necessario di ciò che conviene L-immediatamente
ad A». Questo significa che l'essere di una totalità non può essere compreso
senza riconoscere i momenti mediati che partecipano al suo significato. La
mediazione, quindi, è ciò che consente al tutto di manifestarsi nella sua
concretezza, evitando che sia ridotto a un’astrazione formale.
Dal punto di vista metodologico, questo esempio ci invita a
ripensare il rapporto tra il particolare e l’universale, tra l’ente e il tutto.
L’occidente, per Severino, ha costruito la propria ontologia su una separazione
nichilistica tra questi poli, isolando il mediato e relegandolo a un livello
inferiore rispetto all’immediatezza. Ma questa separazione è fonte di aporie,
poiché il senso del mediato è costitutivo del senso dell’immediato. Non è
possibile concepire la totalità senza le sue parti, e non è possibile concepire
una parte senza il contesto che la include e la definisce.
Il principio di non contraddizione classico
Nella formulazione aristotelica, il principio di non contraddizione (principium
firmissimum) è espresso così: «È impossibile che lo stesso attributo
appartenga e non appartenga contemporaneamente e sotto lo stesso rispetto alla
medesima cosa». Questo principio, enunciato nella Metafisica di
Aristotele, stabilisce che un ente non può essere e non essere nello stesso
momento e sotto lo stesso aspetto. È il fondamento logico della metafisica
occidentale, concepito per garantire la coerenza del pensiero e del discorso,
evitando che ogni proposizione possa essere al contempo vera e falsa.
La critica severiniana al principio classico
Severino considera il principio di non contraddizione classico un’espressione
del nichilismo occidentale. Per Aristotele, l’essere può passare al non-essere:
un ente è, ma può anche non essere, a seconda delle condizioni temporali e
circostanziali. Questo significa che l’essere è concepito come «esposto al
nulla», come qualcosa che può smettere di essere (annullarsi) o che può
provenire dal nulla (generarsi). In questa visione, il principio di non
contraddizione classico presuppone l’accettazione di una relazione tra essere e
nulla, ossia che l’essere sia definibile solo nella contrapposizione al
non-essere. Questo, per Severino, è il cuore del nichilismo: concepire l’essere
come qualcosa di non necessario, di contingente, che può non essere.
Dice Severino:
Risiede nel significato stesso dell’essere che l’essere abbia ad essere, sì che il principio di non contraddizione non esprime semplicemente l’identità dell’essenza con se medesima (o la sua differenza dalle altre essenze), ma l’identità dell’essenza e dell’esistenza (o l’alterità dell’essenza dall’inesistenza).
— Severino, La struttura originaria, Adelphi, Milano 1981, p. 517
E ancora:
Il discorso aristotelico […] ponendo che quando l’essere è, è, e quando non è, non è, dice dunque che quando l’essere è il nulla, allora è nulla; e non si accorge che il vero pericolo dal quale ci si deve guardare non è l’affermazione che, quando l’essere è nulla, sia essere (e, quando è essere, sia nulla), ma è l’acconsentimento che l’essere sia nulla, cioè l’acconsentimento che si dia un tempo in cui l’essere non è il nulla (quando è) e un tempo in cui l’essere è nulla (quando non è), cioè l’acconsentimento che l’essere sia nel tempo. In questo modo il “principio di non contraddizione” diventa la forma peggiore di contraddizione: proprio perché la contraddizione viene nascosta nella formula stessa con la quale ci si propone di evitarla e di bandirla dall’essere.
— Severino, Ritornare a Parmenide, in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, p. 22
Il principio di non contraddizione non nichilistico e la
L-immediatezza
In contrapposizione, Severino propone un principio di non contraddizione non
nichilistico, radicato nella L-immediatezza (il principio è Immediatezza
Logica). Questo principio afferma che l’essere è irriducibile al nulla e che il
nulla è radicalmente escluso dall’essere. La L-immediatezza è la manifestazione
immediata e originaria dell’identità dell’essente con sé stesso: un ente è sé
stesso e non può essere altro da sé (ciò vale L-immediatamente), non perché lo
impone una regola logica esterna, ma perché la struttura originaria dell’essere
si manifesta necessariamente così.
Definizione metodologica del principio di non
contraddizione non nichilistico
Il principio di non contraddizione non nichilistico può essere formulato così: «È
impossibile che l’essente sia diverso da sé stesso, poiché l’essente è
immediatamente sé stesso e non altro». Questo principio non presuppone la
possibilità che l’essente passi al nulla (o che il nulla si faccia essere), ma
afferma che l’identità dell’essente con sé stesso è eterna e innegabile. La
contraddizione non può sussistere non perché vietata da una legge logica
astratta, ma perché essa implica necessariamente la negazione dell’identità
dell’essente con sé stesso, che è innegabile.
L’immediatezza come fondamento della non contraddizione
La L-immediatezza testimonia l’impossibilità che l’essere non sia, in
quanto il non-essere è privo di consistenza e non può in alcun modo apparire.
Ogni contraddizione, in ultima analisi, è dissolta nella necessità dell’essere,
che è l’unica realtà innegabile. Questo principio di non contraddizione non
nichilistico non dipende dalla relazione tra essere e nulla, ma si radica nella
necessità eterna
Sull’aporia del nulla
L’aporia del nulla, come intesa nel pensiero severiniano,
sorge dalla tensione tra il tentativo di pensare il nulla come determinato e la
sua intrinseca impossibilità di apparire. Il nulla, se pensato come qualcosa,
diventa una determinazione positiva, contraddicendo la sua stessa definizione
di non-essere. Questo paradosso implica che il nulla non può mai essere oggetto
di un’esperienza o di un significato positivo senza trasformarsi in qualcosa di
altro rispetto a sé. La questione, quindi, è come il pensiero possa riferirsi
al nulla senza cadere in questa contraddizione.
Il metodo severiniano per aggirare l’aporia del nulla
Severino affronta l’aporia del nulla distinguendo diversi
livelli semantici e ontologici del significato del nulla:
- Il
positivo significare del nulla: Severino riconosce che, nel linguaggio
e nel pensiero, si può parlare del nulla, ma questa operazione non implica
che il nulla venga pensato come qualcosa di reale o determinato (di
esistente in sé). Dire «nulla» è un atto linguistico che non equivale a
porre un contenuto determinato, ma segnala l’assenza di significato. Il
nulla, in questo senso, può essere pensato solo come «insignificanza» (il
nulla significa l’insignificanza).
- Il
nulla assoluto (Nihil absolutum): Per Severino, il nulla assoluto è la
negazione radicale di ogni essere e di ogni significato. Non è
semplicemente l’opposto o il contrario di qualcosa, ma il totale
escludersi dalla sfera del significato e dell’essere. In quanto tale, il
nulla assoluto non può apparire, perché ogni apparenza implica una
determinazione che lo negherebbe come nulla.
- Il
significare del nulla come insignificanza: Quando si tenta di
significare il nulla, ciò che appare non è il nulla in sé, ma la sua
insignificanza. Il nulla non è un oggetto che si possa cogliere o
descrivere, bensì la totale assenza di determinazioni e relazioni. Parlare
del nulla significa, paradossalmente, farlo rientrare nel sistema del
significato, svuotandolo della sua essenza di non-essere, inteso come
insignificanza.
- Il
nulla assoluto in relazione alla totalità del significato: Nel
contesto della totalità del significato, il nulla assoluto non ha luogo.
La totalità del significato è per definizione il campo completo di tutto
ciò che è significante e determinabile. Poiché il nulla assoluto è
l’assenza di significato, esso non appartiene alla totalità, ma ne
rappresenta un limite esterno puramente concettuale (orizzonte). Questo
limite non può essere pensato senza trasformarsi in una relazione interna
al sistema del significato.
Il rapporto tra nulla e contraddizione
Severino collega il nulla alla contraddizione attraverso il
concetto di isolamento semantico. Tentare di pensare il nulla come separato
dalla totalità del significato porta a una contraddizione, poiché il nulla, se
separato, viene pensato come determinato. La contraddizione dialettica emerge
nel momento in cui si attribuisce al nulla una qualche forma di identità,
trasformandolo in un ente.
La logica dialettica severiniana non elimina il nulla, ma lo
riconosce come un momento necessario nella struttura del significato. Il nulla
non è un’entità autonoma, ma un’espressione della contraddizione insita nel
pensare qualcosa come isolato dal tutto. In questo senso, il nulla è
un’apparenza contraddittoria che si dissolve nel momento in cui viene
ricondotta alla totalità del significato.
Contraddirsi, Contraddizione e Dialettica del Nulla
Nel pensiero di Emanuele Severino, il rapporto tra contraddirsi
e contraddizione rappresenta un nodo fondamentale per comprendere la
struttura originaria e la sua relazione con il nichilismo. Mentre il «contraddirsi»
descrive una condizione fenomenologica e contingente, la «contraddizione» è
intesa come impossibilità assoluta e necessaria. Questo dualismo si colloca al
centro della riflessione severiniana sul nulla, che, nella sua essenza, è una
contraddizione autocontraddittoria.
Contraddirsi
Il concetto di «contraddirsi» implica l’atto di
affermare e negare la stessa cosa. Nel «contraddirsi» il dire è separabile dal
contenuto dell’affermazione, e ciò che si pone può essere negato senza una
negazione intrinseca dell’atto del dire stesso. Questo fenomeno appartiene al
dominio della fenomenologia discorsiva e della contraddizione formale, dove le
posizioni si confrontano senza implicare necessariamente l’impossibilità
assoluta del loro essere.
Contraddizione
La contraddizione, invece, è il luogo dell’impossibilità
assoluta. Quando un contenuto è in contraddizione, significa che esso nega sé
stesso nella sua essenza, e dunque non può esistere. Per Severino, la
contraddizione non si limita a una negazione discorsiva, ma è il «collasso
ontologico» di un contenuto che pretende di essere ciò che non può essere. Per
esempio, il nulla, inteso come assoluta negazione dell’essere, è una
contraddizione: per negarsi come nulla, esso deve apparire e quindi «essere», dissolvendo così la propria pretesa di assoluta negatività.
La Dialettica del Nulla
Il nulla, come assoluta negazione dell’essere, è un concetto
che incarna l’autocontraddizione. Per Severino, il nulla può essere compreso
solo come un significato che si autocontraddice: esso non è, perché, nel
momento stesso in cui è pensato o affermato, è già incluso nella totalità del
significato dell’essere. Questo significa che la contraddizione del nulla non è
semplicemente un errore logico, ma una necessità strutturale che conferma
l’impossibilità di negare il significato dell’essere (essere non significa
nulla).
Relazione tra Contraddirsi, Contraddizione e il Progetto
del Nichilismo
La distinzione tra «contraddirsi» e «contraddizione» ha
implicazioni profonde per la comprensione del nichilismo occidentale. Il
nichilismo, secondo Severino, si fonda sull’illusione che il nulla possa
esistere come negazione assoluta dell’essere. Tuttavia, questa illusione è
essenzialmente un «contraddirsi», poiché l’atto di affermare il nulla come
reale implica già l’essere. La contraddizione del nulla mostra che il
nichilismo non può sostenersi senza ricorrere a una struttura dell’essere che
lo renda pensabile.
Uso Metodologico
- Distinguere
contraddirsi da contraddizione: È fondamentale separare il livello
fenomenologico (contraddirsi) da quello ontologico (contraddizione).
Mentre il primo può essere corretto discorsivamente, il secondo è
un’impossibilità assoluta che dissolve il contenuto stesso.
- Integrare
il concetto di nulla nella totalità dell’essere: Il nulla deve essere
pensato non come un’entità separata, ma come un momento
autocontraddittorio che testimonia la totalità del significato
dell’essere.
- Superare
il nichilismo come contraddirsi: La comprensione del nulla come
contraddizione mostra che il pensiero nichilistico è già fondato
sull’essere, dissolvendo così l’illusione di una negazione assoluta.
In conclusione, la distinzione tra contraddirsi e
contraddizione offre una chiave per comprendere la struttura originaria della
verità e il superamento del nichilismo. La contraddizione è l’impossibilità
stessa del nulla, e la sua autocontraddittorietà conferma che ogni significato,
anche il più negativo, è già incluso nell’apparire della totalità. Questo
approccio permette di dissolvere l’apparente dualismo tra essere e nulla,
rivelando la necessità dell’essere come fondamento originario.
Che cosa è una autocontraddizione
Nel pensiero di Emanuele Severino, l’autocontraddizione
è il fenomeno per cui un contenuto o una posizione, per essere affermato, deve
contemporaneamente negare sé stesso. L’autocontraddittorietà si verifica quando
un significato, una proposizione o una determinazione è tale che la sua stessa
affermazione implica la sua negazione, e quindi diventa impossibile. A
differenza della contraddizione ordinaria, che coinvolge due elementi separati,
l’autocontraddizione è un contraddirsi intrinseco di un unico termine,
che si dissolve nel momento in cui è posto.
Esempio di autocontraddizione
Un esempio classico di autocontraddizione riguarda il
significato del «nulla». Come sappiamo, dire «il nulla è» implica che il nulla
abbia una qualche forma di esistenza, ma ciò nega la sua stessa definizione,
che consiste nell’assenza totale di essere. Per Severino, questa affermazione è
un'autocontraddizione perché il nulla, nel momento in cui è pensato o affermato,
si trasforma in un ente e quindi cessa di essere nulla.
Un ulteriore esempio analitico è offerto dalla negazione
della presenza immediata: affermare che «la presenza immediata non è» implica
comunque l’affermazione della presenza immediata come negazione. Ciò significa
che per negare la presenza immediata, la presenza deve essere già posta,
generando un’autocontraddizione intrinseca.
Implicazioni metodologiche
- L’autocontraddizione
è impossibilità: Essa non può essere risolta o «sopportata» come una
semplice contraddizione logica; la sua affermazione implica la sua
negazione totale.
- L’autocontraddizione
svela la necessità dell’essere: Nel caso del nulla, l’impossibilità di
pensarlo senza trasformarlo in un essere testimonia la necessità
dell’essere come fondamento di ogni significato.
- Uso
critico: L’analisi dell’autocontraddizione permette di individuare le
incoerenze profonde in progetti o affermazioni che pretendono di isolare
un significato dalla totalità del senso.
Severino mostra come l’autocontraddittorietà non sia solo un
fenomeno logico, ma un elemento che testimonia la struttura necessaria
dell’originario, dissolvendo le pretese nichilistiche di negazione assoluta del
senso.
Il significato di «toglimento» e la locuzione «appare come tolto»
Il concetto di «toglimento» gioca un ruolo
cruciale nella filosofia di Emanuele Severino, legandosi strettamente alla
comprensione dell’originario e alla struttura della necessità. La sua origine
concettuale risiede nell'esigenza di dissolvere le contraddizioni che sorgono
dall’isolamento delle determinazioni, restituendole alla loro appartenenza
necessaria al tutto. Questa nota metodologica esplora il significato di «toglimento»,
l’uso della locuzione «appare come tolto», e la funzione metodologica di questi
concetti nella comprensione dell’originario.
Che cosa significa «toglimento»?
Il «toglimento» non implica semplicemente una negazione o
una eliminazione, ma è un processo di integrazione nella totalità del
significato. Come spiega Severino, il toglimento è «il riconoscimento che la
contraddizione deve essere tolta», un atto che dissolve la problematicità
derivante dall’isolamento delle determinazioni e ne ripristina la coerenza
nella struttura originaria.
Per esempio, nel contesto dell'originario, il toglimento
della negazione di una determinazione non è un atto arbitrario, ma è imposto
dalla necessità che ogni determinazione sia già compresa nella totalità.
L'essere di qualcosa è affermato non perché la sua negazione venga
semplicemente rimossa, ma perché la sua negazione si rivela incompatibile con
la sua immediata appartenenza alla totalità del senso.
La locuzione «appare come tolto»
Quando Severino utilizza l’espressione «appare come tolto»,
si riferisce al fatto che un elemento, pur non essendo affermato
esplicitamente, è già incluso nella struttura del significato come negato.
Questo concetto si lega alla nozione di immediatezza e mediazione: il «tolto»
non è annullato nel senso nichilistico, ma appare come incluso nel tutto, dove
ogni negazione è già una parte della sintesi originaria.
Ad esempio, la contraddizione appare come «tolta» nel
momento in cui si riconosce che essa non è più isolata, ma è ricondotta alla
necessità del tutto. Questo implica che l’atto del toglimento non è un processo
temporale o pratico, ma una struttura intrinseca al manifestarsi
dell’originario.
Funzione metodologica nella comprensione dell’originario
La funzione metodologica del «toglimento» è fondamentale per
la comprensione della struttura originaria. Esso consente di dissolvere le
aporie e le contraddizioni apparenti, mostrando che esse sorgono solo
dall’isolamento delle determinazioni. In particolare:
- Ricondurre
le contraddizioni al tutto: Il toglimento rivela che le contraddizioni
non sono assolute, ma dipendono da un errato isolamento di una parte
rispetto alla totalità. La contraddizione è «tolta» quando si riconosce
che ogni determinazione è già inclusa nel senso complessivo
dell’originario.
- Garantire
la coerenza della struttura originaria: Il toglimento assicura che
ogni negazione o problematicità sia integrata nella sintesi
dell’originario, evitando che si generi un regresso infinito o una
frattura nella totalità.
- Dissolvere
la separazione tra essere e nulla: Nel toglimento si evidenzia che il
nulla, inteso come pura negazione, è autocontraddittorio e non può
esistere al di fuori della totalità. Ogni «nulla» è già incluso come
momento del tutto, apparendo come tolto nel riconoscimento della totalità e
della necessità dell’essere.
Un esempio
Consideriamo il concetto di negazione dell’essere.
Affermare che «l’essere non è» implica già che l’essere si presenti come tolto
(«non è» coincide con «essere non» e, infine, con «essere con»), poiché la
negazione dell’essere presuppone l’affermazione della sua presenza nel campo
del significato. In questo senso, il toglimento della negazione dell’essere non
è un processo che aggiunge qualcosa, ma è il riconoscimento che l’essere è per
sé noto e non può essere contraddetto senza generare autocontraddizione.
In conclusione, il «toglimento» e il suo manifestarsi come «appare
come tolto» rappresentano strumenti concettuali centrali per comprendere
l’originario nella sua relazione alla totalità. Essi evidenziano come ogni
determinazione, anche nella sua negazione, sia necessariamente integrata nella
struttura dell’essere, dissolvendo ogni separazione nichilistica tra essere e
nulla. Questa prospettiva non solo chiarisce la coerenza della struttura
originaria, ma offre anche un metodo per affrontare le aporie del pensiero
tradizionale.
Confronto tra il pensiero di Hegel e Severino
Il metodo dialettico hegeliano
Hegel sviluppa il metodo dialettico come il cuore della sua
filosofia, una logica del movimento e della trasformazione. Al centro di questo
metodo vi è l'idea che la realtà sia intrinsecamente dinamica e che il
pensiero, nel suo procedere, non sia mai statico ma sempre orientato a superare
(aufheben) le contraddizioni che esso stesso incontra.
- Struttura
triadica del movimento dialettico:
- Tesi:
un’affermazione iniziale che pone una determinazione.
- Antitesi:
l’opposizione o negazione che emerge come conseguenza interna alla tesi.
- Sintesi:
il superamento della contraddizione tra tesi e antitesi, che conserva e
supera entrambi (aufheben), inaugurando un nuovo livello di
sviluppo.
Questo processo non è solo un metodo logico, ma descrive il
movimento stesso della realtà. Per Hegel, la logica non è separabile
dall’ontologia; il pensiero e l’essere sono uniti nel movimento dialettico.
Ogni opposizione è dunque momento necessario del reale, e il metodo dialettico
mira a mostrare come la contraddizione sia risolta in un’unità più alta.
- Contraddizione
come motore del divenire:
- Hegel
considera la contraddizione non un errore da eliminare, ma il motore del
divenire. La realtà si evolve proprio attraverso il manifestarsi e il
superarsi delle contraddizioni. Ad esempio, l’essere puro (tesi) implica
il nulla (antitesi), e la loro sintesi produce il divenire.
- Unità
di metodo e contenuto:
- Per
Hegel, metodo e contenuto sono inscindibili. La dialettica non è un
semplice strumento, ma esprime la struttura interna del reale. Ogni
categoria logica rappresenta una fase dello sviluppo dell’Idea, che è
insieme logica, natura e spirito.
Differenze fondamentali: Severino e la critica al metodo
hegeliano
Sebbene Severino riconosca il valore del metodo dialettico
hegeliano come uno dei tentativi più radicali nella storia del pensiero
occidentale, la sua filosofia si colloca in una posizione decisamente critica
rispetto alla concezione hegeliana della dialettica. Le differenze possono
essere articolate su più livelli:
- Divenire
e nichilismo:
- Per
Severino, il pensiero hegeliano, nonostante il suo apparente rigore, è
ancora intrappolato nella prospettiva nichilistica dell’Occidente. Hegel
accetta il divenire come realtà fondamentale, ma per Severino il divenire
è già un errore: è l’apparire di un fraintendimento radicale dell’essere.
Pensare che qualcosa possa divenire altro da sé significa, per Severino,
accettare implicitamente il nulla come parte integrante della realtà (identificazione
di essere e nulla), cosa che per lui è logicamente e ontologicamente
insostenibile.
- Contraddizione
ontologica vs. contraddizione semantica:
- Per
Hegel, la contraddizione è il cuore del reale, un momento necessario del
suo sviluppo. Severino rifiuta questa posizione, infatti per il filosofo
bresciano la contraddizione ontologica (ossia che un ente possa essere e
non essere) è impossibile. Ciò che Hegel considera una contraddizione
reale è per Severino un errore semantico, generato dall’isolamento
astratto delle determinazioni dal contesto originario della totalità del
significato.
- Struttura
originaria e apparenza dell’intero:
- Severino
riformula il concetto di totalità. La sua struttura originaria non è un
processo dialettico di superamento delle contraddizioni, ma l’apparire
immediato e necessario dell’intero. Ogni determinazione non appare come
separata o in divenire, ma come eternamente connessa al tutto. In
Severino, la totalità è ciò che include ogni significato e ogni
opposizione in una relazione necessaria, dove nulla viene tolto o
superato.
- Critica
al movimento dell’aufheben:
- L’idea
hegeliana di aufheben (togliere-conservare-superare) implica un
divenire incessante in cui ogni determinazione è destinata a essere
superata in una sintesi superiore. Per Severino, questo movimento è un
fraintendimento dell’eternità dell’essere: nulla diviene, tutto è già eternamente
ciò che è. Il movimento dialettico, quindi, non può spiegare l’essere,
perché presuppone un divenire che per Severino è una contraddizione (per Severino
la contraddizione è originariamente tolta).
Punti di contatto e differenze metodologiche
Punti di contatto:
- Entrambi
i pensatori rifiutano la staticità dell’intelletto astratto, che isola le
determinazioni senza comprenderne la relazione necessaria.
- Entrambi
riconoscono l’importanza della totalità come chiave per comprendere il
significato delle determinazioni particolari.
- La
logica dialettica è, per entrambi, più che uno strumento. Essa è il modo
fondamentale attraverso cui il reale si manifesta.
Differenze metodologiche:
- Olismo
semantico vs. divenire dialettico: Per Hegel, ogni determinazione si
evolve nel divenire, mentre per Severino ogni determinazione coimplica
immediatamente il tutto senza bisogno di sviluppo o superamento.
- Ruolo
della contraddizione: Hegel fa della contraddizione il motore del
reale; Severino la considera un’illusione generata dall’isolamento
semantico.
- Tempo
e eternità: Hegel integra il tempo come parte dello sviluppo dello
Spirito; per Severino, il tempo è l’apparire successivo delle eterne
determinazioni, ma non comporta alcun divenire ontologico (per Severino l’essere
non è nel tempo ma il tempo è nell’essere).
Severino riformula radicalmente la dialettica hegeliana,
rifiutandone il presupposto fondamentale del divenire. La sua filosofia non è
un’antitesi a Hegel, ma un tentativo di mostrare come la stessa dialettica, se
compresa nella sua essenza, non conduca al divenire ma all’eternità
dell’essere. Per Severino, il metodo dialettico è valido solo nella misura in
cui è riformulato come una semantica dell’intero, che non introduce l’entificazione
de nulla o il divenire, ma riconosce l’apparire dell’essere come eterno e
immutabile. In questo senso, Severino offre una critica costruttiva al pensiero
hegeliano, ricollocando il metodo dialettico nel contesto della struttura
originaria.
Il significato, le costanti e la loro relazione con il
tutto
Nel pensiero di Emanuele Severino, il significato è
la sintesi tra il contenuto determinato e la positività del significare. Ogni
significato è un essere, e in quanto tale è parte del semantema infinito, ossia
della totalità concreta di tutti i significati. Questo implica che il
significato non è mai un’entità isolata, ma un momento del tutto, la cui
identità si fonda sulla sua relazione con la totalità del significato
originario.
Ente e significatocome termini intercambiabili
Severino afferma che ente e significato sono
termini intercambiabili perché ogni ente è necessariamente un significato. La
totalità dell’essere è dunque la totalità dei significati. Questa equivalenza
sottolinea che non esiste un essere che non sia anche pensabile e, quindi,
significante. Ogni significato è un ente, e ogni ente si manifesta come un
significato nella struttura originaria.
Le costanti: definizione e tipi
Le costanti sono gli elementi necessari per la
definizione e la coerenza di un significato. Un significato è posto solo quando
sono poste tutte le sue costanti, poiché queste sono parte della sua essenza.
Severino distingue vari tipi di costanti, che possono essere sintetizzate come
segue:
- Costanti
sintattiche:
- Determinano
la forma del significato.
- La
loro mancanza implica che il significato stesso non possa essere posto.
- Ad
esempio, il semantema infinito è una costante sintattica di ogni
significato.
- Costanti
non sintattiche (o iposintattiche):
- Non
determinano la forma del significato ma contribuiscono alla sua
individuazione.
- La
loro mancanza trasforma il significato concreto in un significato
astrattamente formale, privandolo della sua completezza.
- Costanti
medianti:
- Sono
costanti di secondo livello, che si manifestano attraverso la mediazione
di altre determinazioni.
- Ad
esempio, un significato complesso come «parte della totalità» include
costanti medianti, come «maggiore della parte».
La relazione tra costanti e totalità
Ogni costante di un significato appartiene alla totalità del
semantema infinito. La mancanza di una costante in un significato implica non
solo la sua incompiutezza, ma anche una contraddizione con la struttura
originaria dell’intero. Questo perché ogni significato è determinato in quanto
parte del tutto, e la negazione di una costante implica la negazione
dell’intero.
Nel sistema di Severino, il significato e le sue costanti
rappresentano una sintesi inseparabile che si radica nella totalità del
semantema infinito. Ogni significato è un ente, e ogni ente è significato; le
costanti garantiscono la coerenza del significato come momento del tutto. La
distinzione tra costanti sintattiche, non sintattiche e medianti permette di
comprendere come ogni significato, anche nella sua particolarità, sia integrato
nella totalità dell’essere e della verità originaria. Questa struttura dissolve
l’illusione dell’isolamento e rivela la Necessità dell’interconnessione di
tutti i significati.
Definizione e differenza tra significato semplice e
significato complesso
Significato semplice: Il significato semplice
è definito come un’entità semantica che, pur includendo una pluralità di
aspetti o determinazioni, non è intrinsecamente composta da altre
determinazioni distinte al suo interno. È un significato che si presenta come
immediato e autosufficiente, senza richiedere una relazione predicativa o di
sintesi con altri significati per essere posto. Un esempio di significato
semplice potrebbe essere l'idea di «essere» nella sua accezione più
pura e non ulteriormente analizzabile.
Significato complesso: Il significato complesso,
al contrario, è costituito da una pluralità di momenti o determinazioni che si
relazionano tra loro. Questa relazione implica che ogni momento sia determinato
dagli altri, creando una struttura predicativa o sintetica. Un esempio di
significato complesso è «questa estensione rossa», in cui i due momenti — «questa
estensione» e «il colore rosso» — si determinano reciprocamente, formando una
sintesi.
Differenze principali
- Natura
semantica:
- Il
significato semplice è immediato e privo di ulteriori articolazioni
interne; esiste come un tutto autosufficiente.
- Il
significato complesso è articolato, composto da una pluralità di momenti
distinti ma interrelati.
- Relazione
interna:
- Nel
significato semplice, non c’è relazione predicativa interna tra i suoi
elementi, poiché esso è già determinato nella sua unità.
- Nel
significato complesso, i momenti si determinano a vicenda attraverso una
relazione, come nel caso di una predicazione («questa estensione è rossa»).
- Esempi:
- Semplice:
«Essere formale» (l’«è» in «Questa lampada accesa»)
- Complesso:
«Questa lampada accesa», che implica una relazione tra «lampada» e «essere accesa».
Il riconoscimento della distinzione tra significati semplici
e complessi è essenziale per comprendere la struttura originaria del senso.
Mentre i significati semplici rappresentano i limiti dell’analisi semantica, i
significati complessi dimostrano la Necessità della relazione tra le
determinazioni all’interno del campo semantico totale.
La contraddizione C
La contraddizione C rappresenta un aspetto essenziale
della riflessione di Severino, essendo una contraddizione specifica che emerge
dal tentativo di isolare una determinazione dal suo contesto necessario, ovvero
dal campo semantico complessivo e dalle sue costanti. Di seguito esploriamo il
significato di questa contraddizione, la sua relazione con il semantema
infinito, le modalità del suo toglimento, e il suo significato nella logica
originaria.
Definizione e caratteristiche
La contraddizione C si verifica quando un significato, nel
suo essere posto, non include tutte le costanti che lo determinano. Essa non è
una semplice contraddizione logica, ma una tensione ontologica che svela il
legame necessario tra ogni significato e il campo semantico dell’intero. La sua
definizione precisa è: «Quando la posizione di un significato S non implica
la posizione di una o più costanti di S, ciò che si intende porre non è ciò che
realmente si riesce a porre».
La contraddizione C non è immediatamente una negazione del
significato posto, ma il segno che esso non è posto nella sua interezza. Ad
esempio, se S è posto senza tutte le sue costanti, l’intenzione di porre S come
completo genera un’autocontraddizione, poiché S è, in questo caso, «posto e non
posto» contemporaneamente. La caratteristica secodo la quale tale
contraddizione dipende da un’astrazione la rende una contraddizione «dialettica»
più che «formale».
Tipologie di contraddizione e specificità della
contraddizione C
Severino distingue la contraddizione C da altre forme di
contraddizione:
- Contraddizione
come mancanza logica: Qui la contraddizione emerge da un limite
epistemico o operativo, dove un significato non riesce a soddisfare i
requisiti semantici o logici.
- Contraddizione
del sopraggiungere: Legata al divenire temporale, questa
contraddizione si manifesta quando il manifestarsi di un significato nega
implicitamente la sua permanenza.
- Contraddizione
C: A differenza delle precedenti, la contraddizione C è ontologica e
radicata nella struttura dell’essere. Essa rivela che ogni significato
astratto, pensato senza la totalità delle sue costanti, non può valere
come completo, poiché è necessario che ogni significato sia radicato nel
semantema infinito.
Il semantema infinito e il suo legame con la
contraddizione C
Il semantema infinito è il campo semantico totale che
include ogni significato e le sue costanti. La contraddizione C si genera
quando un significato viene isolato da questa totalità. Dire che un significato
S è posto senza il semantema infinito significa annullare la sua consistenza
semantica, poiché ogni significato è costante di ogni altro significato solo in
relazione al tutto. In breve, il semantema infinito è la condizione di
possibilità per l’esistenza di ogni significato.
Il «toglimento» della contraddizione C
Per superare la contraddizione C, è necessario riconoscere
la mancanza e integrarla. Questo processo non è solo un completamento logico,
ma un riconoscimento che ogni significato astratto è sempre già un momento del
tutto. Il toglierla non è un’operazione che elimina il problema, ma che
rivela il legame necessario tra ogni significato e l’intero.
Ad esempio, se il significato S non include una delle sue
costanti, il toglimento della contraddizione C può avvenire ponendo la costante
mancante oppure riconoscendo che tale posizione è solo formale e non concreta.
Questo significa che il pensiero deve ricondurre ogni significato al semantema
infinito, che è la sua condizione necessaria.
La funzione metodologica della contraddizione C
- Svelare
il legame con l’intero: La contraddizione C funge da guida per
comprendere che nessun significato può essere pensato isolatamente, ma
solo come parte di una totalità.
- Evitare
l’astrazione: Essa mostra l’impossibilità di considerare un
significato senza le sue costanti, evidenziando l’inadeguatezza di un
pensiero astratto che non si fonda sulla struttura dell’intero.
- Integrare
il finito nell’infinito: La contraddizione C evidenzia come ogni
significato, anche nel suo essere finito, implichi il riferimento
necessario all’infinito semantico.
- Dissolvere
le aporie: Attraverso il suo toglimento, la contraddizione C aiuta a
superare le tensioni tra immediatezza e mediatezza, finito e infinito,
mostrando che ogni significato appartiene necessariamente alla struttura
originaria.
La contraddizione C è, nella filosofia di Severino, uno
strumento fondamentale per comprendere l’ontologia dell’essere e la totalità
del significato. Essa non è un semplice errore, ma una manifestazione della
necessità che ogni significato appartenga al tutto. Il suo toglimento non è
un’operazione contingente, ma un riconoscimento della struttura necessaria
dell’originario, che supera l’illusione dell’isolamento e dell’astrazione.
Analisi del significato, problematicità, progetto e
relazione tra L-immediatezza e F-immediatezza
Il pensiero di Emanuele Severino si sviluppa intorno a
concetti chiave che esplorano la struttura dell’originario. Tra questi spiccano
l’analisi del significato, la problematicità originaria, il
concetto di progetto, e la fondamentale relazione tra L-immediatezza
e F-immediatezza. Questi elementi sono legati tra loro nella
comprensione della totalità del significato e della necessità. Di seguito,
analizzeremo ognuno di questi concetti e il loro significato metodologico.
Analisi del significato
L’analisi del significato rappresenta il tentativo di
scomporre il contenuto semantico dell’originario in una pluralità di momenti.
Questo processo, tuttavia, si confronta con la natura complessa e concreta del
significato originario, che include una pluralità di significati immediati
senza che questi possano essere separati dalla totalità. L’analisi del
significato non è infinita, poiché ogni significato, pur nella sua complessità,
rimane integrato nella struttura dell’originario, evitando un regressus in
indefinitum.
Per esempio, affermare «questa lampada è accesa» implica che
la lampada e il suo essere accesa siano momenti distinti, ma inseparabilmente
connessi nella totalità del significato. La struttura originaria garantisce che
ogni significato, anche nella sua analisi, non possa essere astratto dalla
totalità semantica.
Problematicità originaria
La problematicità originaria è una condizione
intrinseca alla struttura originaria, dove l’apertura al significato implica
l’apertura al dubbio e alla contraddizione. La problematicità non è
semplicemente un errore o una difficoltà, ma un momento costitutivo del
pensiero che si confronta con l’intero. Essa nasce dal progetto di oltrepassare
l’immediato e di esplorare ciò che si pone come altro rispetto all’originario (come
immediato).
Una definizione rigorosa di problematicità originaria
è: «L'originario è problematico nella misura in cui non include nella sua
immediatezza attuale la totalità delle costanti che lo costituiscono, aprendo
così la possibilità di un progetto che ne esplori l'oltrepassamento».
Il concetto di progetto
Il progetto è l’apertura verso l’oltrepassamento
dell’originario. Esso si pone come possibilità di esplorare il rapporto tra ciò
che è immediatamente presente e ciò che si manifesta come altro. Il progetto,
tuttavia, è sempre radicato nella struttura dell’originario e non può mai
essere completamente astratto da esso. Esso rappresenta la tensione tra
l’immediato e il possibile, dove la possibilità non è mai separata dalla
necessità che la fonda.
Separazione tra L-immediatezza e F-immediatezza
La relazione tra L-immediatezza (immediatezza logica)
e F-immediatezza (immediatezza fenomenologica) è centrale nella
struttura dell’originario. Quando queste due dimensioni vengono astrattamente
separate, emergono aporie che compromettono la coerenza dell’originario. La F-immediatezza,
isolata, appare come una mera presenza fenomenologica, priva della coerenza
logica garantita dalla L-immediatezza. Al contrario, la L-immediatezza,
separata dalla F-immediatezza, diventa un’astrazione priva di riferimento alla
realtà fenomenologica (e.g., principio di non contraddizione concepito come
astratto).
La separazione tra L-immediatezza e F-immediatezza genera
una doppia aporia: da un lato, ogni immediatezza diventa anche un momento
mediato, dall’altro, il loro isolamento rende ciascuna infondata. La
comprensione dell’originario richiede quindi di integrare queste due
dimensioni, riconoscendole come momenti inseparabili di una stessa struttura.
Funzione metodologica
- Integrare
le dimensioni del significato: L’analisi del significato deve sempre
riferirsi alla totalità, evitando l’astrazione e riconoscendo la
complessità concreta dell’originario.
- Accettare
la problematicità come costitutiva: La problematicità non deve essere
evitata, ma compresa come momento essenziale della struttura
dell’originario.
- Superare
la separazione tra L-immediatezza e F-immediatezza: Questa
integrazione garantisce che il pensiero rimanga radicato nella totalità
del significato, evitando le aporie del nichilismo.
In conclusione, questi concetti offrono una metodologia per
comprendere la struttura originaria nella sua complessità e necessità. Ogni
analisi, ogni progetto e ogni esplorazione del problematico devono sempre
riferirsi alla totalità del significato, integrando le dimensioni logiche e
fenomenologiche dell’immediatezza per mantenere la coerenza dell’originario.
Il metodo generale per il toglimento delle aporie secondo
Severino
Il pensiero di Emanuele Severino si confronta con le aporie
come espressioni dell’isolamento delle determinazioni dalla struttura
originaria dell’essere. Tali aporie non sono semplici contraddizioni logiche,
ma esprimono tensioni ontologiche derivanti dall’errore fondamentale del
nichilismo: la separazione tra le parti e il tutto. Il toglimento delle
aporie è quindi un processo essenziale per restituire ogni determinazione
alla sua connessione necessaria con il semantema infinito.
Il metodo di Severino si basa su un principio fondamentale:
ogni aporia nasce dall’isolamento di una determinazione e può essere tolta solo
riconoscendo il suo legame necessario con la totalità. Questo significa che il
toglimento di un’aporia non consiste nell’eliminazione di un errore, ma nel
riconoscimento che ogni determinazione, anche quando appare isolata, è già
inclusa nell’originario.
Un aspetto centrale del metodo è il riconoscimento che il toglimento
delle aporie non è un processo lineare o temporale, ma si realizza nella
totalità dell’originario, dove ogni contraddizione apparente è già tolta in
quanto inclusa nella Necessità. Ogni aporia, pur apparendo come un problema
specifico, è sempre legata a una rete più ampia di relazioni semantiche.
Il ruolo della negazione
La negazione gioca un ruolo fondamentale nel
toglimento delle aporie. Per Severino, la negazione non è un semplice opposto
dell’affermazione, ma un momento necessario della struttura originaria. Ogni
negazione implica l’affermazione di ciò che nega, poiché non si può negare ciò
che non è già presente. Questo significa che la negazione è sempre già inclusa
nell’originario come tolta.
Ad esempio, abbiamo visto che affermare «l’essere non è»
implica che l’essere sia già posto come presente, altrimenti la negazione non
avrebbe significato. In questo senso, ogni negazione che pretende di isolare un
significato dal tutto è autocontraddittoria, poiché presuppone ciò che nega.
Contraddizione C e il toglimento all’infinito
Sappiamo che la contraddizione C è una forma
specifica di contraddizione che nasce dal fatto che una determinazione viene
posta senza tutte le sue costanti. Questa mancanza genera una tensione che può
essere tolta solo attraverso il progressivo riconoscimento delle costanti
mancanti. Tuttavia, poiché ogni significato è sempre già parte di una rete
infinita di relazioni, il toglimento della contraddizione C è un processo
infinito: ogni costante aggiunta rivela ulteriori costanti mancanti, in
un continuo ampliamento dell’orizzonte semantico.
Questo processo non è un limite, ma una testimonianza della
struttura infinita dell’essere. Il riconoscimento che il toglimento è
all’infinito dissolve l’illusione di un fondamento finito e definitivo,
mostrando che ogni determinazione è sempre già radicata nell’infinito semantico.
Il metodo generale di Severino per il toglimento delle
aporie si fonda sul riconoscimento che ogni contraddizione è un’apparenza
generata dall’isolamento e che ogni negazione è già inclusa nella struttura
originaria come tolta. La contraddizione C, con il suo toglimento all’infinito,
rivela la necessità di un pensiero che superi l’astrazione nichilistica e si
radichi nella totalità dell’essere. Questo metodo non solo risolve le aporie,
ma offre una visione integrale e necessaria della verità.
Il significato dell’oltrepassamento nel pensiero di
Severino
Il termine oltrepassamento è centrale nella
riflessione di Emanuele Severino e si lega strettamente alla struttura
originaria della verità. Esso non è semplicemente il superamento di un limite,
ma un movimento intrinseco alla totalità del significato, che si realizza nel
rapporto tra l’immediato e l’intero semantico. Analizzare sul piano
metodologico questo concetto significa comprendere come Severino articoli il
rapporto tra l’essere, il divenire e la problematicità originaria.
Definizione di oltrepassamento
L’oltrepassamento è l’affermazione che l’immediato non è
l’intero. Questo implica che la totalità dell’essere immediato, pur
manifestandosi, non esaurisce il semantema infinito. L’oltrepassamento può
essere definito come il riconoscimento della presenza di un orizzonte ulteriore
rispetto all’immediato, che include e trascende le determinazioni presenti.
Tipologie di oltrepassamento
Severino distingue due tipi di oltrepassamento:
- Oltrepassamento
in senso debole: Rappresenta la semplice affermazione che l’intero
trascende l’immediato, senza implicare una contraddizione intrinseca.
Questo tipo di oltrepassamento si manifesta nella struttura logica della
totalità del significato, che si apre come ulteriore rispetto a ogni
contenuto immediato.
- Oltrepassamento
in senso forte: Coincide con il risolvimento della problematicità
originaria. Non si tratta solo di affermare che l’intero è oltre
l’immediato, ma di riconoscere che ogni problematica è inclusa nella
struttura dell’intero come tolta. In questo caso, l’oltrepassamento si
configura come una necessità intrinseca all’apparire dell’intero.
Oltrepassamento e problematicità originaria
L’oltrepassamento è strettamente connesso alla problematicità
originaria, che si configura come l’apertura di un orizzonte in cui il
divenire e l’essere si pongono come alternative. Questa problematicità non è un
limite esterno alla struttura dell’originario, ma un momento della sua
realizzazione. L’oltrepassamento è il risolvimento di questa problematica,
ossia il riconoscimento che l’essere, nel suo manifestarsi, è già l’oltre di
ogni immediatezza.
Funzione metodologica dell’oltrepassamento
Il concetto di oltrepassamento ha una funzione essenziale
nella comprensione dell’originario:
- Superare
l’astrazione: L’oltrepassamento mostra che ogni significato isolato,
sebbene sembri indipendente, è necessariamente incluso nell’intero. Questa
inclusione dissolve la contraddizione che si genera dall’astrazione.
- Integrare
la temporalità nell’originario: L’oltrepassamento si manifesta anche
come un movimento temporale, in cui il presente è incluso nel passato e
nel futuro. Questo movimento dissolve l’apparente separazione tra i
momenti temporali, mostrando che essi appartengono alla totalità del
semantema infinito.
- Riconoscere
la necessità dell’essere: Affermare l’oltrepassamento significa
riconoscere che l’intero è la condizione necessaria per ogni apparire e
che nulla può esistere al di fuori della sua totalità.
- Gestire
il progetto dell’intero: L’oltrepassamento si realizza nel progetto
che intende affermare l’intero non solo come orizzonte formale, ma come
totalità concreta. Questo progetto, sebbene problematico, è intrinseco
alla struttura del significato.
L’oltrepassamento, nel pensiero di Severino, non è un
semplice movimento di superamento, ma una dinamica necessaria della struttura
originaria. Esso rivela come ogni determinazione, pur apparendo come autonoma,
sia sempre già radicata nella totalità dell’essere. La comprensione
dell’oltrepassamento è dunque un passo essenziale per accedere alla struttura
originaria e superare le aporie del pensiero tradizionale.
Sulla «differenza ontologica» in Martin Heidegger e Emanuele
Severino
La differenza ontologica in Heidegger: Heidegger
introduce la nozione di «differenza ontologica» per indicare la
distinzione fondamentale tra essere ed ente. Questa differenza,
secondo Heidegger, è stata dimenticata dalla metafisica occidentale, che ha
ridotto l'essere a ente, ossia a ciò che è presente. L'essere, invece, non è un
ente ma è ciò che permette agli enti di essere, la condizione del loro manifestarsi.
Heidegger lo descrive come un «darsi» (es gibt), un apparire
che si ritrae, illuminando l’ente ma nascondendosi al contempo. Nella sua
ultima fase, l’essere viene pensato come Ereignis, l’evento che rende
possibile il rapporto tra essere e uomo, un processo in cui l'essere si
appropria e si disappropria di sé stesso [3].
La differenza ontologica in Severino: Severino
riprende il termine «differenza ontologica», ma ne modifica profondamente il
significato. Per Severino, essa non è tra essere ed ente, ma tra l’apparire
finito, ossia l’apparire degli enti come isolati, e l’apparire infinito, che è
l’apparire del destino. L’apparire finito è caratterizzato dall’isolamento
delle cose, che appaiono come separate dal tutto, mentre l’apparire infinito
mostra ogni essente in relazione con la totalità concreta del destino. La
differenza ontologica severiniana è, quindi, una critica alla fede occidentale
nel divenire, che separa l’essente dal suo essere eterno.
Differenze fondamentali
- Oggetto
della differenza:
- In
Heidegger, la differenza ontologica separa essere ed ente. L’essere non è
un ente, ma ciò che «illumina» gli enti senza essere presente come uno di
essi.
- In
Severino, la differenza ontologica separa due modalità dell’apparire:
l’apparire finito, segnato dall’isolamento e dal divenire, e l’apparire
infinito del destino, che mostra l’immutabilità e l’eternità
dell’essente.
- Relazione
con il nichilismo:
- Heidegger
considera il nichilismo come un evento legato alla dimenticanza
dell’essere da parte dell’Occidente, ma non lo supera radicalmente. Per
lui, l’essere rimane un processo che si dà e si ritrae, implicando una
relazione con il nulla.
- Severino
vede il nichilismo come la radice dell’intera metafisica occidentale, che
concepisce l’essente come esposto al nulla. Per Severino, il divenire è
una fede nichilistica, e la vera differenza ontologica è quella che
rivela l’eternità dell’essente nella sua relazione con il destino.
- Metafisica
e oltrepassamento:
- Heidegger
non pensa contro la metafisica ma la scava, cercando di riportare alla
luce la verità dell’essere. Egli non nega il divenire ma lo vede come un
gioco tra essere e nulla.
- Severino,
invece, supera la metafisica in senso radicale, negando la possibilità
stessa del divenire come annullamento e creazione. L’essente non è mai «esposto
al nulla», ma è eterno nella sua relazione con la totalità.
La differenza ontologica in Heidegger e Severino riflette due vie distinte di
pensare l’essere e il suo manifestarsi. Mentre Heidegger rimane legato a una
concezione in cui l’essere si intreccia con il nulla e il divenire, Severino
rompe con questa tradizione per affermare l’eternità dell’essente e il suo
apparire infinito nel destino. Questa differenza rende evidente la distanza
radicale tra il linguaggio heideggeriano e quello severiniano, nonostante
alcune assonanze terminologiche.
Sulla differenza e sull'identità nel pensiero di Severino
La differenza in termini non nichilistici
Nel pensiero severiniano, la differenza non è intesa come una separazione
ontologica tra gli enti, né come una frattura che espone gli enti al nulla o al
divenire. Al contrario, la differenza è sempre avvolta dall'identità e
partecipa alla totalità dell’essere che si manifesta nell’apparire infinito. La
concezione nichilistica della differenza, tipica del pensiero occidentale,
postula una frattura tra gli enti e l’essere, in cui l’essente è esposto al
nulla. Per Severino, questa visione è il risultato della fede nel divenire, che
concepisce gli enti come isolati e contingenti.
La differenza non nichilistica, invece, afferma che ogni
essente è eterno e che la relazione tra le differenze non le espone al nulla,
ma le inscrive nella struttura necessaria del destino. Ogni differenza è un
momento della totalità, che si manifesta senza annullarsi o essere annullabile.
La differenza, in questa prospettiva, è sempre distinta ma mai separata
dall’identità.
La relazione tra differenza e identità
L'identità, nel pensiero severiniano, è l’esser sé dell’essente. Ogni essente è
eterno nella sua identità e non può essere ridotto o dissolto nella differenza.
Tuttavia, l’identità non è separata dalla differenza: ogni identità si
manifesta avvolta dalla differenza, ma senza essere toccata da essa. Questo
avvolgimento non implica modificazione, ma distinzione: l’identità appare come
distinta dalla differenza ma non separata, esprimendo così una struttura
necessaria e incontraddittoria.
Severino spiega che l'identità è tale proprio in quanto è «indifferente
alla differenza». Essa è ciò che, pur avvolto dalla differenza, rimane immutato
e non viene alterato da altre differenze. L’identità è quella differenza che,
in un certo insieme, si manifesta come indifferente rispetto alle altre
differenze. In questo senso, la differenza qualsiasi (ossia quella che si
manifesta senza essere alterata da altre differenze) è l’identità.
Superamento della separazione ontologica
Nella filosofia severiniana, l’identità e la differenza non sono due realtà
ontologicamente separate, ma due aspetti del medesimo apparire dell’essere.
Ogni identità è un’identità delle differenze, che non si annullano né si
oppongono, ma trovano il loro significato nella struttura necessaria del
destino. Questa concezione supera la tradizionale separazione ontologica,
mostrando che la relazione tra identità e differenza non si risolve in una
dialettica nichilistica, ma in una coimplicazione necessaria e innegabile.
Severino ridefinisce la differenza e l'identità in termini non nichilistici,
opponendosi alla tradizione occidentale che ha separato l'essente dall'essere e
l'identità dalla differenza. In questa prospettiva, la differenza non è mai una
separazione, ma una manifestazione distinta e necessaria dell’identità che si
dà nell’apparire infinito del destino. Questo ripensamento dissolve la radice
nichilistica della filosofia occidentale e afferma la necessità eterna
dell’essente nella totalità del suo manifestarsi.
Sul linguaggio, il rapporto segno-significazione e
l’interpretazione
Il linguaggio e la sua relazione con il destino
Per Severino, il linguaggio non è un sistema
puramente convenzionale o autosufficiente, ma un momento interno alla
struttura della verità del destino. Il linguaggio storico, cioè quello
comunemente utilizzato dai mortali, testimonia l’isolamento della terra dalla
Necessità, rivelando così l’alienazione dell’essente. Tuttavia, anche
all’interno del linguaggio storico può emergere un linguaggio che, pur
utilizzando le forme e i segni della lingua ordinaria, testimonia il destino.
Questo linguaggio, illuminato dalla Necessità, non è più sottomesso al
nichilismo del pensiero occidentale. Non si tratta di un linguaggio inventato,
ma di un linguaggio che si espone al bagliore della verità, consentendo alla
parola di acquisire un senso che trascende l’apparente arbitrarietà storica del
linguaggio stesso.
Segno e significazione
Il rapporto tra segno e significazione è uno
dei nuclei concettuali del pensiero di Severino. Per lui, il segno
linguistico non si esaurisce nel suo valore strumentale, ma è
necessariamente legato al significato, che è l’essere stesso delle cose. Il
segno indica, ma non esaurisce il significato, il quale trascende la parola che
lo veicola. Questa trascendenza è fondamentale: il significato è sempre più
del segno, ed è la manifestazione della verità dell’essente. Negare il
significato della parola significa negare la stessa possibilità di apparire
dell’essere, cadendo così nella contraddizione nichilistica che pretende di
separare i segni dalle loro verità.
Il linguaggio come forma dell’isolamento e come
testimonianza
Il linguaggio, nella sua forma storica e comune, è una
manifestazione della volontà che isola le cose dalla totalità. Questo
isolamento, tipico del nichilismo occidentale, trasforma il linguaggio in un
luogo di rimandi infiniti tra segno e significato, senza mai raggiungere un
fondamento. Tuttavia, quando il linguaggio diventa testimonianza del destino,
questa struttura di rinvio si dissolve: le parole, pur restando storiche,
diventano momenti della verità della Necessità. In questo senso, il
linguaggio che testimonia il destino non ne altera la verità, ma ne rende
visibile la struttura originaria.
L’interpretazione e il suo fondamento
L’interpretazione, per Severino, non è semplicemente
un’operazione arbitraria di attribuzione di significato. L’interpretazione è la
volontà di collegare un evento empirico a un significato attraverso un sistema
di regole. Tuttavia, ogni interpretazione trova il suo fondamento solo nel
destino. Il nichilismo occidentale, che riduce ogni interpretazione a un
rimando infinito, si dissolve quando si riconosce che l’interpretazione si
arresta davanti alla Necessità. La verità, come fondamento originario, non è
un’interpretazione tra le altre, ma la condizione che rende possibile ogni
interpretazione. Negare questo fondamento significa negare la possibilità
stessa di un linguaggio significante.
La riflessione di Severino sul linguaggio e
l’interpretazione non si limita a un’analisi semiotica, ma è una critica
radicale al nichilismo che permea la tradizione occidentale. Il linguaggio, pur
nella sua storicità, può testimoniare il destino, superando l’alienazione e
riconducendo i segni alla verità necessaria dell’essere. In questa prospettiva,
il linguaggio e l’interpretazione non sono strumenti fini a sé stessi, ma
manifestazioni della struttura originaria che illumina la totalità del
significato.
Il superamento del linguaggio
Nella riflessione di Severino, il linguaggio rappresenta un
momento esdsenziale, ma non definitivo, nel rapporto con l’essere. Esso opera
come mediazione, rendendo presente ciò che altrimenti rimarrebbe non detto e
indicibile. Tuttavia, il linguaggio non esaurisce il senso dell’originario;
anzi, esso rivela il proprio limite nel suo stesso funzionare. Come Severino
sottolinea, il linguaggio è «un rinvio» che porta al manifestarsi del
destino, ma non coincide con esso.
Andare oltre il linguaggio non significa negarlo, bensì
riconoscerne il ruolo e i confini. Il linguaggio si ferma al limite
dell’apparire, dove il destino si manifesta come chiarore eterno, ma il destino
stesso trascende questa mediazione linguistica. Superare il linguaggio implica
accedere a una dimensione in cui l’essere si rivela nella sua necessità
incontrovertibile, dissolvendo l’illusione del divenire e del nulla.
Dal punto di vista metodologico, ciò richiede un doppio
movimento:
- Un’indagine
critica sul linguaggio, per svelare le contraddizioni e le tensioni
insite nel tentativo di esprimere l’originario.
- Un’apertura
al destino, inteso come struttura eterna e necessaria, che va compreso
non attraverso un atto linguistico, ma nel manifestarsi diretto e
incontrovertibile dell’essere.
In questo processo, Severino non riduce il linguaggio a un
semplice strumento tecnico o comunicativo, ma lo valorizza come una via
indispensabile per accedere al destino, pur sottolineandone l’insufficienza
ontologica. Il superamento del linguaggio è quindi un invito a riconoscere il
confine tra il dire e il manifestarsi dell’essere, aprendosi a ciò che
trascende la parola.
«Oltre il linguaggio» nella filosofia di Severino
Per Emanuele Severino, oltre il linguaggio [4] non
significa semplicemente abbandonare la dimensione linguistica o negarne
l’importanza. Piuttosto, indica la necessità di riconoscere che il linguaggio,
pur essendo indispensabile, non esaurisce il senso dell’essere e del destino.
Il linguaggio è una mediazione, un momento del manifestarsi dell’originario, ma
non è il fondamento ultimo della verità.
Severino sottolinea che il linguaggio si ferma al limite
dell’apparire, essendo esso stesso parte del divenire e intrinsecamente legato
alla temporalità. Esso è capace di dire l’essere, ma solo nella forma di un
rinvio e di una mediazione, senza mai coincidere con ciò che dice. Per
Severino, l’originario si manifesta come il chiarore eterno e necessario
dell’essere, che trascende il linguaggio perché non può essere pienamente
contenuto o esaurito dalle parole.
Andare oltre il linguaggio significa, dunque:
- Riconoscere
il ruolo del linguaggio come mediazione necessaria, senza però
confonderlo con l’essere stesso.
- Accedere
al destino, inteso come struttura originaria e necessaria in cui ogni
essente appare nella sua eternità incontrovertibile.
- Superare
l’illusione del divenire, in cui il linguaggio sembra inscriversi, per
cogliere l’essere nella sua necessità eterna, al di là della
rappresentazione e della frammentazione propria del dire.
Oltre il linguaggio non rappresenta una negazione del
linguaggio, ma un’apertura alla dimensione che lo trascende: il destino. Il
linguaggio, nel suo rinvio continuo e nella sua contraddizione, conduce verso
questa trascendenza, mostrando i suoi limiti e, al contempo, il chiarore
dell’essere eterno che illumina ogni cosa.
Ora, per un ripasso veloce è stata preparata qui una lista con i concetti essenziali espressi in forma «telegrafica».
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Scrivania nello studiolo del filosofo Emanuele Severino. Nell'angolo, vicino la finestra, è visibile la famosa lampada antica in stile «ministeriale» utilizzata numerose volte nei suoi esempi sul «dire» dell'originario e non solo – Centro Casa Severino |
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[1] Emanuele Severino, La struttura originaria, Adelphi,
1981 (orig. 1958)
[2] Francesco Berto, La dialettica della struttura
originaria, Il poligrafo, 2003
[3] Nicoletta Cusano, Oltre il nichilismo, Morcelliana, 2011
[4] Emanuele Severino, Oltre il linguaggio, Adelphi, 1992