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giovedì 28 novembre 2024

Il «tacchino induttivista» il giorno del Thanksgiving


Oggi, 28 novembre, negli Stati Uniti si festeggia il Thanksgiving Day, una ricorrenza nata nel 1621, quando i Padri Pellegrini, con l'aiuto dei nativi americani Wampanoag, celebrarono un raccolto abbondante. Proclamata festa nazionale nel 1863 da Abraham Lincoln, il Thanksgiving è simbolo di gratitudine, famiglia e... tacchini.


E proprio un tacchino è il protagonista del celebre aneddoto del «Tacchino induttivista» di Bertrand Russell, contenuto nel suo libro I problemi della filosofia (1912). Si immagini un tacchino molto felice poiché ogni giorno alla stessa ora il contadino si avvicina con una bella scodella di mangime. Dopo settimane di osservazioni, il nostro tacchino conclude scientificamente che «il contadino mi ama e mi nutrirà per sempre». Poi arriva il giorno del Ringraziamento e... il tacchino scopre, a sue spese, quanto sia pericoloso fidarsi troppo dell'induzione.


Tale aneddoto, oltre a strapparci un sorriso amaro, pone una critica al ragionamento induttivo, ovvero l'idea che osservare il passato possa garantirci certezze sul futuro.


La questione affonda in tempi moderni le sue radici nel «Trattato sulla natura umana» (1739) e in altre opere di David Hume. Hume sottolinea come non vi sia una giustificazione logica per credere che il futuro debba assomigliare al passato. Secondo il filosofo, l'induzione non è una certezza razionale, ma solo una abitudine mentale (un fattore psicologico potremmo dire). Vediamo due eventi ripetersi insieme (come il cibo che arriva ogni giorno per il tacchino) e costruiamo aspettative, senza alcuna garanzia che ciò continuerà. In particolare, per Hume non esiste una base logica per affermare che gli eventi futuri seguiranno le stesse regolarità osservate nel passato. Ad esempio, il fatto che il sole sia sorto ogni giorno non garantisce che sorgerà domani. L'induzione si basa sul principio che la natura è uniforme (cioè che le leggi del passato valgono per il futuro). Ma questo principio può essere giustificato solo tramite l'induzione stessa, creando un problema di circolarità nel ragionamento. Non meno importante è il problema della causalità. Infatti, Hume nella sua critica mette in discussione l'idea che possiamo conoscere relazioni causali con certezza. Secondo il filosofo scozzese, ciò che percepiamo non è la causalità in sé, ma solo una costante congiunzione di eventi (A seguito da B). La connessione causale è solo una costruzione mentale, non un fatto osservabile.


Come è noto, Karl Popper, in un contesto epistemologico nella sua «Logica della scoperta scientifica», riprende la critica all'induzione proponendo il falsificazionismo. Invece di confermare una teoria con osservazioni ripetute, Popper invita a cercare di falsificarla attivamente con esperimenti. Il tacchino, forse, avrebbe dovuto chiedersi: "E se il contadino avesse un coltello nascosto dietro la schiena?".


In tempi recenti Nassim Nicholas Taleb, nel suo libro «Il cigno nero. Come l'improbabile governa la nostra vita» (2007), riprende l'aneddoto per dimostrare quanto siamo vulnerabili agli eventi imprevedibili, i cosiddetti "cigni neri" che, quando si presentano, sconvolgono le nostre certezze e sono fonte di crisi come quelle finanziarie.


Tornando a Hume, la sua critica mostra come l'empirismo radicale mette in discussione le fondamenta stesse del sapere scientifico e filosofico. Hume evidenzia come i convincimenti sul legame causale e sulla prevedibilità dei fenomeni non abbiano un fondamento razionale ma derivino dall'abitudine e dall'esperienza, senza che vi sia alcuna necessità logica tra causa ed effetto.


Emanuele Severino, nei (cosiddetti) suoi scritti, sul fronte teoretico opera invece una critica più profonda e radicale alla struttura logica del pensiero occidentale che fa da sfondo a questo tipo di problematica. La filosofia severiniana si concentra sulla contraddizione implicita nella fede nel divenire e nella temporalizzazione dell'essere (vedi la formulazione «temporizzata» aristotelica del «pricipium firmissimum»). Per Severino, il pensiero occidentale, incluso quello empirista, è intrinsecamente nichilistico poiché presuppone, anche inconsciamente, che l'essere possa non essere (o diventare altro). La causalità stessa, in quanto presuppone un cambiamento temporale tra causa ed effetto, è una manifestazione di questa fede nel divenire. Quindi Severino pone la questione del principio di causalità su un piano ontologico e non solo epistemologico. Per il filosofo bresciano la causalità così concepita in Occidente, si fonda su un'interpretazione alienata della realtà. La convinzione che un ente possa produrre effetti o essere prodotto da cause implica un'adesione al paradigma nichilistico dell'ente che diviene altro.


Più specificatamente, la «causa» non «appare» come qualcosa di F-immediato (cioè immediato a livello fenomenologico) né come qualcosa di immediato sul piano L-immediato (logico). La causalità, così come intesa nella tradizione filosofica occidentale, è un concetto mediato, ossia costruito a partire dall'esperienza e dalla riflessione razionale che colloca gli enti in una relazione sequenziale (e condizionante). Severino sottolinea che ciò che appare nell'immediatezza fenomenologica è il legame essenziale tra gli enti e il loro essere, che è caratterizzato dalla necessità. Ogni ente è ciò che è e non può essere altrimenti, il che esclude la concezione tradizionale di causa come un fattore che condiziona e rende possibile l'essere di qualcos'altro. Quindi, nella prospettiva severiniana, il concetto di causalità appartiene alla lingua del nichilismo, perché implica che un ente possa essere null'altro che un risultato o un effetto, lasciando così aperta la possibilità che esso possa non essere.


Ad esempio, Emanuele Severino in merito al principio di causalità e, specificatamente, al parallelismo psico-fisico, dice in «Lezioni Milanesi. Il nichilismo e la terra (2015 - 2016)»:


«[...] Che condizionamento vuol dire causazione: causazione da parte del diventar altro. Il diventare altro causa; le forme specifiche del diventar altro causano l'apertura della mente. Ma causazione vuol dire principio di causalità. Non mi stancherò mai di elogiare il neopositivismo originario, quello di Carnap, Schlick, e Neurath, che oggi tende a essere snobbato. Loro non parlavano di causazione. Carnap, ad esempio, nel suo Der Logische Aufbauder Welt (La costruzione logica del mondo) parla di parallelismo psico-fisico: ti pianto un chiodo nella testa, poi constato che non ti comporti più come prima. Ma altro è constatare che prima c'è il fenomeno "a" e poi il fenomeno "b", altro è affermare che il fenomeno "a" è causa del fenomeno "b". Il principio di causalità non è il parallelismo psico-fisico.»

 

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Emanuele Severino (a cura di: Nicoletta Cusano), Lezioni Milanesi. Il nichilismo e la terra (2015 - 2016), Mimesis Edizioni, 2018 

 

 

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