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sabato 16 novembre 2024

La funzione metodologica del mediato nel pensiero di Emanuele Severino


La riflessione sulla funzione del mediato riveste un ruolo centrale nella Struttura Originaria di Emanuele Severino, costituendo uno dei nodi concettuali fondamentali per comprendere la sua proposta filosofica. In un sistema dove immediatezza, intesa come non mediatezza, e mediatezza non sono semplicemente termini oppositivi ma momenti costitutivi di un'unica struttura, il mediato non è relegato a una posizione subordinata o derivativa. Al contrario, la sua funzione è essenziale per l’articolazione del senso e per il superamento di quelle forme di nichilismo che, secondo Severino, dominano il pensiero occidentale.

Per inciso, il termine «medio» deriva dal latino medius, «che sta in mezzo», e dalla radice indoeuropea medhyo, indicante centralità e connessione. In filosofia, rappresenta ciò che relaziona e connette. Aristotele lo utilizza nella logica (termine medio del sillogismo) e nell'etica (virtù come giusto mezzo). Nella Scolastica, il medio assume valenza metafisica e teologica, come Cristo mediatore tra uomo e Dio. 

Severino innanzitutto distingue tra due tipi di immediatezza, quella fenomenologica (F-immediatezza) e quella logica (L-immediatezza). L'immediatezza fenomenologica è il dato che si presenta nell'apparire; l'immediatezza logica è il legame necessario tra i significati che costituiscono il contenuto di ciò che appare. La mediazione, in questo contesto, è ciò che consente a questi due livelli di non cadere nell’isolamento reciproco, che condurrebbe a una forma di dualismo con esiti di tipo nichilistico. Il mediato, dunque, diventa il luogo di sintesi tra il livello del fenomeno (φαινόμενον) e il livello della necessità logica, garantendo che l’apparire dell’ente non sia astratto né separato dal tutto.

Il mediato, metodologicamente, è fondamentale per due ragioni principali. La prima è che esso impedisce di concepire l'immediatezza come un dato assoluto e indipendente. La seconda è che esso permette di comprendere come ogni significato particolare sia in relazione necessaria con il tutto (relazione di tipo dialettico). Per Severino, il mediato non è mai un semplice passaggio o strumento concettuale, ma è il luogo stesso dove il senso dell'essere si articola nella concretezza del dire.

Un esempio chiave offerto nella Struttura Originaria aiuta a chiarire questa dinamica.

Supponiamo di considerare la relazione tra una totalità (A), una parte (B) e un intermediario, che qui possiamo chiamare "maggiore della parte" (M). In questa relazione:

  • A è la totalità, il tutto;
  • M è ciò che è maggiore della parte, un momento di significanza intermedio;
  • B è una parte del tutto.

Severino sottolinea che M conviene L-immediatamente ad A, cioè è un significato che appartiene necessariamente alla totalità. Tuttavia, B, in quanto parte, è un momento della significanza di M, e quindi si trova in una relazione mediata rispetto ad A. In questo senso, B appartiene necessariamente ad A, ma non in modo diretto, sì che il suo rapporto con A è mediato da M. Senza B, tuttavia, M perderebbe la sua coerenza e non potrebbe più convenire ad A.

Questa relazione ci mostra come il mediato non sia mai separabile dall’immediatezza. Se il mediato (B) venisse isolato o negato, l’intera struttura della significanza collasserebbe. In altre parole, la mediazione non è un accidente o un espediente, ma un momento necessario per la coerenza logica della relazione tra totalità e parte.

Un passaggio fondamentale della Struttura Originaria recita: «La significanza di A non è posta se non è posto il significato B, poiché B è un momento semantico necessario di ciò che conviene L-immediatamente ad A». Ciò significa che l'essere di una totalità non può essere compreso senza riconoscere i momenti mediati che partecipano al suo significato. La mediazione, quindi, è ciò che consente al tutto di manifestarsi nella sua concretezza, evitando che sia ridotto a un'astrazione formale.

Dal punto di vista metodologico, questo esempio ci invita a ripensare il rapporto tra il particolare e l'universale, tra l’ente e il tutto. L’occidente, per Severino, ha costruito la propria ontologia su una separazione nichilistica tra questi poli, isolando il mediato e relegandolo a un livello inferiore rispetto all’immediatezza. Ma questa separazione è fonte di aporie, poiché il senso del mediato è costitutivo del senso dell’immediato. Non è possibile concepire la totalità senza le sue parti, e non è possibile concepire una parte senza il contesto che la include e la definisce. In altre parole c'è una relazione di tipo dialettico.

La riflessione sul mediato si inserisce quindi nella più ampia critica di Severino al nichilismo occidentale. In tale prospettiva, la mediazione non è solo un passaggio logico o una costruzione epistemica, ma è il cuore della struttura dell’essente. Essa garantisce che il tutto e le sue parti siano riconosciuti nella loro necessaria co-appartenenza, evitando le forme di isolamento nichilistico che caratterizzano il pensiero occidentale. Il mediato non è un semplice tramite; è ciò che testimonia l’unità del senso e dell’apparire. Questo lo rende indispensabile per la comprensione teorica e per la testimonianza della verità dell’essere.

Ripensare la funzione del mediato, come suggerisce Severino, è un passo necessario per superare l’alienazione che domina la nostra civiltà e per recuperare la concretezza dell’essere nella sua totalità. Nel fare ciò, il pensiero si riconnette alla sua origine, ritrovando nell’unità di immediatezza e mediatezza la struttura stessa della verità.


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Emanuele Severino, La struttura originaria, 1958


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