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sabato 16 novembre 2024

Il linguaggio nella filosofia di Severino: analisi metodologica

 


La riflessione di Emanuele Severino sul linguaggio, articolata in opere come «La struttura originaria» [1] e «Oltre il linguaggio» [2], offre un contributo fondamentale alla filosofia contemporanea. Il linguaggio, per Severino, non è mai un mero strumento espressivo o comunicativo. Il linguaggio partecipa a una più ampia struttura ontologica, legandosi alla questione del destino e del rapporto tra fenomeno ed essere. Tuttavia, questo legame è complesso e problematizzato da Severino, che mette in luce la mediazione del linguaggio, le sue contraddizioni intrinseche e il suo ruolo nella manifestazione dell'eterno. La presente analisi propone una lettura metodologica di tali questioni, cercando di chiarire come Severino intenda il linguaggio, quale sia il ruolo della mediazione, la natura delle sue contraddizioni e il rapporto con la struttura originaria.


Il linguaggio come partecipazione al destino

Per Severino, il linguaggio non è mai autonomo o creatore del senso. Egli scrive in «Oltre il linguaggio» [1]: «Non è il linguaggio a creare il senso, ma è il senso originario che si dà attraverso il linguaggio». In questa prospettiva, il linguaggio non ha una funzione ontogenetica, bensì una funzione rivelativa. Esso illumina ciò che già è, permettendo all'eterno di apparire nel cerchio del manifestarsi. Questo approccio si pone in netta contrapposizione con la concezione contemporanea, proposta in parte anche dalla filosofia analitica,  secondo cui il linguaggio sarebbe la radice del significato, un costrutto capace di determinare il mondo.

Il linguaggio, per Severino, è sempre subordinato al destino, ovvero alla necessità che regge l’apparire dell’essente. Esso è un momento, non il fondamento, del processo ontologico. Il linguaggio è uno strumento che articola il rapporto tra fenomeno e struttura logica. Tale subordinazione evita che il linguaggio diventi una forma nichilistica, ossia un costrutto che separa gli enti dalla totalità necessaria. Emanuele Severino afferma [1]: «Il linguaggio che parla dell'originario dice il non detto e l'indicibile, non nel senso che il non detto e l'indicibile siano resi identici a ciò che è detto, ma nel senso che lo stesso essere non detto del non detto e la stessa indicibilità dell'indicibile sono detti dal linguaggio». In tale passaggio si esprime una funzione mediatrice, permettendo al linguaggio di esprimere ciò che, per sua natura, sembra sfuggire alla verbalizzazione. Il linguaggio non si limita a rappresentare, ma partecipa alla manifestazione dell'originario, rendendo presente il legame tra ciò che può essere detto e ciò che rimane indicibile.


Mediazione e funzione del linguaggio

La mediazione è il fulcro della funzione (metodologica) del linguaggio. Per Severino, il linguaggio si colloca tra l’apparire fenomenologico (F-immediatezza o, in termini imprpri, ciò che si manifesta alla coscienza) e l’apparire logico (L-immediatezza, la necessità che struttura ciò che appare). Questo ruolo mediatore è essenziale per preservare l’integrità ontologica del senso: il linguaggio connette i fenomeni alla totalità dell’essere senza dissolverli in un sistema astratto.

La mediazione, però, non è solo un elemento strutturale; è anche un antidoto contro il nichilismo occidentale, che separa gli enti dalla totalità, riducendo il senso del mondo a una pluralità frammentata (isolata) e senza legame. Severino a tal proposito ne «La struttura originaria» afferma [2]: «La struttura originaria è struttura, perché è predicazione, cioè una relazione in cui qualcosa è detto di qualcos'altro appunto perché quest'altro è ciò che esso è -e quindi il qualcosa detto è dedica·to (prae-dicatum) a quest'altro. Questo dire non è un'o­ perazione del mortale (o di udicon dio - e non è in alcun modo un'operazione). Per esprimerlo potrebbe forse essere più adatta la forma latina inusitata dix, che si forma su dico, così come lex si forma su lego. Il dire è l'apparire delle relazioni tra le cose, e quindi anche della relazione tra le cose e quelle certe cose che sono i segni delle cose e delle loro relazioni». In questa citazione emerge la centralità della mediatezza come necessità della predicazione, ma anche il superamento di questa come identità originaria nel dire. La mediazione garantisce dunque che il linguaggio non sia né un semplice riflesso del mondo empirico né un costrutto arbitrario. Esso è uno strumento di rivelazione del necessario. In altre parole, il linguaggio si presenta come una forma mediata di manifestazione. Non porta direttamente alla luce l'essere, ma agisce come rinvio, esprimendo ciò che non può essere detto pienamente. Questa funzione mediata rivela un’essenza di tensione tra ciò che appare e ciò che rimane indicibile


La contraddizione intrinseca nel linguaggio

Nonostante il suo ruolo rivelativo, il linguaggio porta con sé una contraddizione. Come afferma Severino, il linguaggio è esso stesso immerso nel divenire, ma cerca di esprimere l'eterno. Questa tensione emerge chiaramente in «Oltre il linguaggio» [1]: «Il linguaggio è uno sviluppo che dice ciò che non si sviluppa, e continua a ridirlo, perché il linguaggio non dice mai una volta per tutte, e il suo finire di dire è la condizione perché esso abbia a ridire quello che ha detto. Ma la labilità del linguaggio che parla dell’essenza della struttura originaria non è la labilità di tale essenza, le cui determinazioni devono essere originariamente manifeste affinché esso possa essere l’incontrovertibile». Tuttavia, il linguaggio non può mai esaurire l'eterno, poiché il suo stesso operare è diacronico, cioè è legato al tempo e alla storicità.

Questa forma di contraddizione non è una debolezza del linguaggio, ma la sua condizione essenziale. Il linguaggio si pone come uno strumento per articolare il senso, ma è sempre anche un'entità fenomenica, soggetta alle limitazioni del mondo empirico. Tale ambiguità rivela che il linguaggio non è un'entità neutrale o trasparente, bensì un campo di tensioni tra il finito e l'infinito.

Possiamo sintetizzare affermando il linguaggio, nel tentativo di esprimere il destino, incontra una contraddizione: il linguaggio afferma e nega simultaneamente l'identità tra il detto e l'indicibile. Questo paradosso non invalida il linguaggio, ma ne svela la natura strutturalmente insufficiente rispetto all'essere


Il legame con la struttura originaria

Il rapporto tra linguaggio e struttura originaria è uno dei temi più profondi della filosofia severiniana. La struttura originaria, intesa come la necessità logica ed eterna che regge l’essere, è il fondamento del senso. Il linguaggio, nella sua funzione mediatrice, partecipa a questa struttura, ma non la fonda. Severino inoltre sottolinea che [1]: «Il linguaggio che parla di quelle ulteriori determinazioni della struttura originaria mostra, insieme, le contraddizioni, cioè le «aporie» che si costituiscono in seguito alla loro assenza (cfr.La struttura originaria,cit., «Introduzione», par. 6). La forma comune di queste contraddizioni è che, da un lato, l'essenza della struttura originaria è l'incontrovertibile e appare come tale - e pertanto le sue determinazioni sono esse stesse incontrovertibili - dall'altro lato essa, per l'assenza di quelle ulteriori determinazioni, è controvertibile, anzi è contraddetta da certi plessi concettuali che si presentano a loro volta come incontrovertibili».

In questo passaggio si sottolinea come il linguaggio, pur essendo uno strumento necessario per parlare dell'originario, riveli le tensioni e le contraddizioni che sorgono dal tentativo di articolare verbalmente ciò che trascende il linguaggio stesso. Il linguaggio, quindi, partecipa al manifestarsi della struttura originaria, pur mantenendo una distanza ineliminabile dal suo significato ultimo.

Questa fedeltà del linguaggio alla struttura originaria è cruciale per il suo ruolo metodologico. Il linguaggio non deve tradire il destino, cioè la coerenza dell’essere, tentando di separare gli enti dalla totalità. Al contrario, esso deve essere lo strumento che permette alla verità dell'essere di manifestarsi senza alterazioni. 

In sintesi, il linguaggio, pur essendo mediato e contraddittorio, è un momento fondamentale per il chiarimento del senso dell’originario. La struttura originaria è il destino in cui tutto si illumina, e il linguaggio è il mezzo attraverso il quale ci si avvicina a questa illuminazione, pur restando sempre in una condizione di rinvio


Oltre il linguaggio: il destino dell’essere

Severino non si ferma al linguaggio, ma ne mostra i limiti. Il linguaggio, infatti, non esaurisce il destino, ma vi partecipa. Il filosofo bresciano afferma in «Oltre il linguaggio» [1]: «È mostrandosi nel linguaggio che l'originario mostra il proprio trascendimento del linguaggio. È all’interno della situazione in cui la parola non può essere evitata che appare la necessità che la cosa (il destino) trascenda e circondi la parola». Tale affermazione sancisce il superamento di ogni visione che faccia del linguaggio il principio ultimo.

Ciò che sta oltre il linguaggio è la struttura stessa del manifestarsi, il cerchio in cui appaiono gli eterni. Il linguaggio, in quanto tale, è solo uno dei modi attraverso cui il destino si rende visibile. Tuttavia, il suo ruolo non è marginale: esso consente di articolare il senso e di collegare i fenomeni alla totalità.


Epilogo

La concezione severiniana del linguaggio e della mediazione offre una prospettiva unica sulla relazione tra essere, fenomeno e senso. Il linguaggio non è un semplice strumento comunicativo, ma un tramite necessario per la rivelazione dell'eterno. Tuttavia, questa funzione è segnata da una contraddizione intrinseca: il linguaggio è immerso nel tempo, ma cerca di esprimere ciò che è eterno. Questa tensione lo rende un elemento chiave nella filosofia di Severino, ponendolo in dialogo con la struttura originaria e il destino. Alla fine, il linguaggio non è il fine ultimo, ma un mezzo per giungere a ciò che è oltre: la verità dell’essere. In altre parole, l'indagine proposta da Emanuele Severino sul linguaggio «Oltre il linguaggio» è la seguente. Per cogliere l’originario, non basta il linguaggio: è necessario andare oltre. Il linguaggio si ferma al limite dell’apparire, mentre l’originario si manifesta come il chiarore eterno di ogni essente. Solo accedendo a questa dimensione si può superare l’illusione del divenire e il legame del linguaggio con la temporalità.


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[1] Emanuele Severino, Oltre il linguaggio, Adelphi, 1992

[2] Emanuele Severino, La struttura originaria, Adelphi, 1981 (orig. 1958)


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