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mercoledì 2 ottobre 2024

Più realtà — David Chalmers

 


Nel suo libro Più realtà, David Chalmers affronta con rigore filosofico e apertura concettuale uno dei temi più spiazzanti e affascinanti del nostro tempo: la realtà virtuale come possibile forma di realtà autentica. Lungi dall’essere un trattato tecnico sulla VR o un semplice esercizio speculativo, il testo si colloca al crocevia tra ontologia, epistemologia e filosofia della mente, spingendosi fino a interrogare la natura stessa dell’esistenza e della coscienza.

Chalmers parte da un’osservazione fondamentale: i mondi simulati, sempre più immersivi e sofisticati, non sono semplici illusioni o copie degradate della “vera” realtà, ma possono essere considerati, in senso pieno, reali. Questa tesi, che potrebbe suonare provocatoria in un contesto tradizionalmente legato a una concezione fisicalista o empirista della realtà, viene invece argomentata con pazienza e lucidità. L’autore distingue tra diversi gradi e modalità di realtà, aprendo la strada a una teoria pluralista in cui il reale non coincide necessariamente con il materiale o il tangibile. Un nodo centrale dell’opera è la discussione sulla simulazione, che si appoggia — ma va oltre — la celebre ipotesi di Nick Bostrom. Chalmers non si limita a chiedersi se viviamo in una simulazione, ma si interroga sul senso stesso di questa domanda: cosa implicherebbe, davvero, vivere in un mondo simulato? Sarebbe meno reale? Meno degno di essere vissuto? La risposta di Chalmers è netta e insieme sorprendente: no. Una simulazione sufficientemente complessa, capace di sostenere esperienze coscienti, ha diritto ontologico di cittadinanza.

Su questa base, Chalmers riformula la metafisica tradizionale alla luce delle tecnologie emergenti. L’argomentazione più originale è forse quella che riguarda il concetto di realismo virtuale: l’idea che mondi generati artificialmente possano essere, a pieno titolo, “realtà”, perché veicolano esperienze autentiche e strutture coerenti, e perché nulla nel concetto di realtà ci obbliga a restringerlo al substrato fisico convenzionale.

Non mancano, naturalmente, implicazioni per la filosofia della mente. Se è possibile vivere, agire e fare esperienza in una simulazione, allora ciò che conta davvero non è il supporto materiale dell’esperienza, ma le strutture formali e fenomeniche che la rendono possibile. Questa posizione si lega alla nota teoria dualista di Chalmers — quella del “problema difficile” della coscienza — ma nel contesto di Più realtà essa si evolve verso un approccio più operativo, quasi costruttivista, che sembra lasciare spazio a una reinterpretazione della mente come forma di presenza attiva in uno spazio computazionale.

Il libro si distingue anche per l’uso sapiente di esempi tratti dalla cultura contemporanea, dalla fiction alla tecnologia, ma senza mai scadere nel sensazionalismo. Il tono è sobrio, dialogico, e l’argomentazione sempre guidata da una tensione alla chiarezza concettuale. Chalmers si dimostra capace di articolare idee complesse in modo accessibile, senza però sacrificare la profondità. Posso dire che Più realtà è un’opera che costringe a riconsiderare i nostri presupposti più radicati sulla realtà, sulla verità e sull’esperienza. Non si tratta soltanto di un libro sulla realtà virtuale, ma di una riflessione sistematica su che cosa significhi essere in un mondo, percepirlo, attribuirgli uno statuto ontologico. In un’epoca in cui la distinzione tra naturale e artificiale si fa sempre più porosa, Chalmers ci invita a guardare oltre le apparenze, e a chiederci non solo che cos’è la realtà, ma quante forme diverse può assumere senza smettere di esserlo.

In controluce, l’intero impianto speculativo di Chalmers può essere letto anche alla luce di una domanda heideggeriana più profonda: che cosa significa abitare un mondo? Heidegger ci ha insegnato che l’essere non è una proprietà degli enti, ma si dischiude nella relazione tra l’essere umano e il suo orizzonte di senso, ovvero nel modo in cui il mondo viene abitato, esperito, significato. In questo senso, l’ontologia virtuale proposta da Chalmers — pur muovendosi entro coordinate analitiche e computazionali — sfiora una verità fenomenologica: se l’essere-nel-mondo è fondamentalmente un’esperienza situata e intenzionale, allora anche i mondi virtuali, se capaci di accogliere questa struttura intenzionale, non sono meno mondi. Anzi, diventano luoghi autentici dell’esistenza possibile, configurazioni dell’esserci (Dasein) che, seppur tecnicamente costruite, possono venire incontro all’essere nella sua apertura. La “realtà aumentata” di Chalmers, sotto questo profilo, potrebbe essere letta come una nuova declinazione del “disvelamento” heideggeriano, dove la tecnica — lungi dall’essere solo un pericolo — diventa anche una soglia per nuove modalità dell’apparire e del prendersi cura.


Un tema che ho trattato anche nel mio «Umanità, Complessità e Intelligenza Artificiale. Un connubio perfetto».


 

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