Chiunque si sia dedicato alla lettura di "Essere e Tempo" (1927) di Martin Heidegger (1889 - 1976), non può non aver notato, nel filosofare, uno sforzo mastodontico nel creare un nuovo linguaggio al fine di poter riproporre in una luce nuova la problematizzazione dell'"essere". Heidegger, fin dalle prime pagine, tenta di convincerci che "È dunque necessario riproporre il problema del senso dell’essere" (cfr. Martin Heidegger, "Essere e Tempo"), in quanto, dopo il primo tentativo fondazionale ad opera della filosofia della Grecia antica, da parte di Parmenide, Platone e Aristotele, esso è stato completamente glissato. Da un'analisi superficiale dello scritto Heideggeriano, la cui lingua originale è il Tedesco, si evince un utilizzo di una terminologia molto specifica che nella lingua italiana i traduttori devono rendere adottando strategie composizionali di termini (è noto l'uso esorbitante del trattino, "-") come in “essere-nel-mondo” (In-der-Welt-sein), Esser-ci (Da-sein), essere-per-la-morte (Sein–zum–Tode), etc. In gran parte della filosofia di Heidegger c’è il tentativo di spostare le questioni dal campo logico e metafisico al campo ontologico. Un esempio è la "verità" che nel passare dal dominio della logica a quello dell'ontologia diventa "svelamento", cioè "alethéia", "non nascondimento". Lo stesso Heidegger, nella tradizionale e problematica distinzione tra pensiero e pensiero tedesco si opponeva a qualsiasi traduzione delle sue opere in altre lingue (Cfr. Umberto Galimberti, Idee: il catalogo è questo). Tralasciando le questioni contingenti sotto il profilo storico di quell'epoca opaca che il popolo tedesco e il suo pensiero hanno vissuto nella prima metà del Novecento, da un punto di vista teoretico il problema della lingua non è secondario. Non è un caso che l'ultimo Heidegger, all’interno della tradizione filosofica contemporanea del Novecento, che vede l'analisi del linguaggio come protagonista, si interessa molto alla lingua dell'uomo e soprattutto al "discorso" (Rede), quest'ultimo inteso dal filosofo con un'accezione di maggiore apertura rispetto al linguaggio.
Infatti, dal soggiorno a Marburg fino alla sua opera, "In cammino verso il linguaggio", Martin Heidegger non ha mai smesso di mettere in discussione l'essenza del linguaggio, al di là della sua funzione comunicativa e utilitaristica. Il filosofo dell’essere ha, altresì, cercato di collegare direttamente il linguaggio e l'essere se stesso all'interno della "parola poetica" (scriverà che "La parola parlata nella sua forma più pura è una poesia").
In "Essere e Tempo" Heidegger ha dedicato numerose pagine fondazionali allo studio etimologico dei termini peculiari sia per meglio inquadrare il suo metodo fenomenologico – ereditato da Edmund Husserl - sia per tentare di gettare delle basi solide alla propria filosofia che tratta di un "essere particolare", quello che "via via noi siamo" espresso a più riprese con il termine Esser-ci.
Nella "Lettera sull'umanesimo" del 1946 Heidegger menziona il motivo per cui la sua opera principale del 1927, Essere e tempo, non poteva essere completata. Egli attribuisce la causa alla sua incapacità di uscire dal linguaggio della soggettività e della metafisica. Di fatto, i suoi sforzi dopo la svolta e cioè nel periodo in cui si rende importante strappare la verità alla logica, cerca anche di disambiguare la lingua dalla sua accezione strumentale e dagli schematismi della logica stessa.
Specialmente il lettore non abituato imbattendosi in "Essere e Tempo", ma anche in "Che cosa è la metafisica", può trovarsi spiazzato da lunghe involuzioni di catene di parole, anche difficili, poiché evidentemente mancavano (e forse mancano ancora oggi) i concetti essenziali per esprimere (linguisticamente) il nuovo senso dell’essere, colto da una prospettiva esistenziale. Infatti, se da una parte Heidegger vuole distinguere una volta per tutte la cosa (compreso la cosità dell'uomo) appartenente a piano ontico dalla vera ontologia (l'essere dell'Esserci), dall'altra sembra non trovare concetti semplici e immediati per esprimere al meglio tale distinzione. Lo stesso tentativo lo ritroviamo in Karl Jaspers (1863 - 1969) la cui ontologia dell'essere è chiamata "periontologia" per distinguerla dall'ontologia dell'ente (che è l'ontologia proposta dai greci e rimasta invariata fino al Medioevo inoltrato grazie alla scolastica). Per entrambi, l'essere non è l'ente e, in quanto tale, esso è quella determinazione che ha a che fare con l'umano (Esserci) e nel suo "abitare" il mondo (Essere-nel-mondo). Nel determinare le modalità dell'Essere-presso- il-mondo Heidegger compie un immane sforzo nell'allontanarsi dalle categorie aristoteliche le quali si dovrebbero applicare a problemi ontici e non inerenti all'Esserci. Da qui le complicazioni linguistiche che giungono ad una complessità tale da destare anche critiche spietate.
Il neopositivista Rudolf Carnap (1891 - 1970) in merito spese parole dure:
"… è priva di senso una successione di parole che, all’interno di un determinato e già noto linguaggio, non formi alcuna proposizione. Può succedere che una tale successione di parole sembri di primo acchito una proposizione; in questo caso la chiamiamo una pseudoproposizione. Ora, la nostra tesi è che le presunte proposizioni della metafisica si rivelano, all’analisi logica, come pseudoproposizioni." (Cfr. Rudolf Carnap, Il superamento della metafisica mediante l’analisi logica del linguaggio (1932))
In ogni caso le sue critiche erano di metodo e non sul filosofare in sé.
È interessante ricordare che Ludwig Wittgenstein (1889 - 1951), nello stesso secolo, nel "Tractatus Logico-Philosophicus" asseriva che "I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo" e che "Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere". Anche l'ingegnere e filosofo americano Alfred Korzybski (1879 1950) nel 1933 in "Science and sanity" analizzava il linguaggio e i suoi limiti in relazione alle risposte del sistema nervoso (la "risposta semantica"). Korzybski individuava nel linguaggio umano una struttura multi-ordinale (vagamente simile a quanto fece Carnap) in cui alla base vi erano concetti semplici legati al mondo empirico e man mano, risalendo la gerarchia, vi erano concetti sempre più astratti strutturati da una terminologia altrettanto astratta. Egli propose un gioco in cui i due interlocutori dovevano alternarsi in domande e risposte in cui ci si impegnava ad essere – nel fluire del discorso - astratti, cioè, usare termini generali, similmente al gioco del "perché" che amano i bambini. Korzybski invitava a osservare che ad un certo punto si giunge al vertice della gerarchia e se si continua, si finisce per girare in tondo. Contemporaneamente Korzybski faceva notare come il raggiungimento del vertice coincideva con una risposta nervosa visibile (aumento della sudorazione e del battito cardiaco, incremento dello stato di nervosismo, etc.). Pertanto, secondo tali osservazioni, il raggiungimento dei limiti del linguaggio (e dei limiti del mondo) nel dire hanno un corrispettivo fisiologico e questo potrebbe essere un ponte – seppur cedevole - al dualismo platonico - avvalorato dalle “res” Cartesiane - tra metafisica e fisica, tra anima e corpo o tra mente e cervello.
Nelle immagini un giochino ottenuto con l’Intelligenza Artificiale applicata al linguaggio (NLP) dove si possono apprezzare in maniera sintetica le parole e i concetti espressi in “Essere e Tempo” di Martin Heidegger.
Un possibile metodo alla base del modellamento dei topic in un testo è noto come Latent Dirichlet Allocation (LDA). Esso è un modello generativo probabilistico, utilizzato principalmente per l'identificazione di strutture tematiche nascoste (topics) in grandi archivi di documenti testuali. L'idea di base è che ogni documento possa essere considerato come una miscela di vari argomenti, e ogni argomento, a sua volta, è caratterizzato da una distribuzione di parole.
L'analisi comincia con la definizione a priori del numero di argomenti (topics) che si desidera identificare. Il modello poi procede attraverso iterazioni, assegnando parole a argomenti in modo probabilistico, basandosi su quanto siano caratteristiche quelle parole per certi argomenti e quanto gli argomenti siano prevalenti nei documenti. Questo processo si avvale di tecniche di inferenza bayesiana per aggiornare le stime e convergere verso la distribuzione più probabile di parole per argomento e di argomenti per documento.
Interpretare il modello LDA attraverso word clouds (nuvole di parole) è un metodo efficace per visualizzare i risultati. Ogni word cloud rappresenta un argomento e le parole che appaiono in ogni cloud sono quelle più rappresentative di quel particolare argomento, secondo il modello. Le dimensioni di una parola all'interno della nuvola indicano la sua probabilità o frequenza relativa: parole più grandi sono quelle considerate più importanti o distintive per quell'argomento. Questa rappresentazione visiva permette di cogliere intuitivamente la natura di ciascun argomento e di apprezzare le differenze tematiche tra i vari argomenti identificati.
In pratica, quando si guarda a una serie di word clouds generati da un modello LDA, si sta osservando un sommario visuale di come il modello ha interpretato i temi prevalenti nel corpus di documenti analizzato. Ciascuna nuvola offre uno spaccato delle parole chiave che, secondo il modello, definiscono un argomento specifico. Questo può aiutare notevolmente nella comprensione dei temi principali di un grande set di documenti, facilitando l'analisi qualitativa e la categorizzazione dei testi basata su contenuto tematico implicito.
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