Quando
ci si accosta per le prime volte al pensiero di Emanuele Severino
chiunque, in un modo o in un altro, vi oppone una certa resistenza. Le
motivazioni sono molteplici, ma in essenza la resistenza deriva da una
modalità precipua con cui ci raccontiamo l'esperienza primaria, in
relazione anche a ciò che ci viene insegnato comunemente, il cui
contenuto è completamente avulso dalla trascendenza, intesa come anelito
alla totalità. Severino mostra che tale anelito può, in effetti, essere
più che un mero anelito. In altre parole, è necessario accettare che se
davvero il dire vuole cogliere la totalità nella sua forma assoluta
allora qualsiasi referente indicato da questo dire – compresa l'istanza
del dire stesso – è parte della totalità, talvolta riferita ne «La
struttura originaria» (SO d'ora in poi) dal bresciano come «intero
semantico».
Per
penetrare a fondo il pensiero di Emanuele Severino e le sue
affermazioni è necessario controbilanciare la resistenza con una
apertura all'intero semantico e ciò, a mio parere, non può non passare
per un metodo di acquisizione delle affermazioni più dure che
semplifichi – anche con il rischio di stravolgere – quelle operazioni
semantiche che portano Severino a fornire la completa strutturazione
della Necessità.
La
prima cosa da comprendere è che Severino non perde mai d'occhio
l'intero semantico, sebbene sia consapevole che il suo dire diacronico,
il suo af-fermare, siano solo una parte (necessaria) formale di
quell'intero semantico che fa da sfondo come referente.
Il
metodo di Severino in SO si fonda, pertanto, sulla necessità
dell’essere e sul conseguente carattere necessario di ogni proposizione
vera. Dove il carattere di «verità» assume un significato ben preciso,
sempre in connessione alla «totalità». Tre le righe di SO, infatti, si
può constatare la sistematica riscrittura delle proposizioni in
proposizioni analitiche radicantesi nel principio che ogni significato,
essendo costante dell’intero semantico, implica necessariamente ogni
altro significato, escludendo così la possibilità di proposizioni
meramente sintetiche che non siano autocontraddittorie. Ciò significa
che ogni proposizione vera è necessaria e, in ultima analisi, analitica.
Severino in SO a p. 429 esplicita questa dinamica affermando che:
«Analogamente,
in relazione alla distinzione tra proposizioni analitiche, sintetiche a
posteriori e sintetiche a priori (cfr. cap. VII), è da dire che tutte
le proposizioni vere (ossia tutte le affermazioni non problematiche
esenti da contraddizione) sono analitiche o sintetiche a priori. Se
infatti ogni significato è costante del semantema "intero semantico" e
se questo, in quanto necessariamente implicato da ogni significato, è
costante di ogni significato, segue – come già si è detto – che ogni
significato è costante di ogni altro significato; sì che l’implicazione
predicazionale tra due significati qualsiasi è sempre necessaria: tale
cioè che la sua negazione è autocontraddittoria».
In
questa affermazione si coglie chiaramente il superamento della
distinzione kantiana tra giudizi analitici e sintetici: per Severino,
l’implicazione tra soggetto e predicato è sempre necessaria
(originaria), e quindi non vi è spazio per un vero e proprio giudizio
sintetico che non sia già inscritto nella necessità della struttura
originaria, o nella totalità inerente l'intero semantico. Le
proposizioni «false», infatti, non sono semplicemente proposizioni che
non corrispondono alla realtà, ma sono autocontraddittorie, nel senso
che la loro negazione è necessariamente affermata.
Severino
offre un esempio concreto di questa logica, dimostrando come una
proposizione apparentemente sintetica a posteriori si riveli, in realtà,
un caso di necessità strutturale (p. 429):
«Ad
es.: stante la presenza immediata di questa estensione rossa, nella
proposizione: "Questa estensione non è rossa ( = è non rossa)" la
determinazione che costituisce il predicato non è, semplicemente,
costante dell’intero: appunto perché questo predicato è una siffatta
costante in quanto esso è tolto, ossia nel suo essere tolto. E cioè, il
non esser rossa di questa estensione (che è F-immediatamente nota come
rossa) è certamente, come tale, costante dell’intero: appunto in quanto
ha una certa valenza semantica; ma poiché è F-immediato che questa
estensione è rossa, il suo non esser rossa è tolto, sì che quest’ultimo
è, come tolto, costante dell’intero. La convenienza, della
determinazione tolta, al soggetto di quella proposizione dà luogo alla
proposizione sintetica a priori: "Questa estensione è rossa"».
Tale
passaggio mostra con chiarezza come il carattere immediato del
significato renda necessaria la connessione ( = sintesi originaria) tra
soggetto e predicato: il predicato “rossa” non è una qualità accidentale
che si aggiunge al soggetto, ma è una determinazione necessaria che non
può essere negata senza che la negazione stessa sia tolta.
L’operazione
metodologica di Severino non si limita a stabilire la necessità delle
proposizioni vere, ma si spinge oltre, mostrando come anche le
proposizioni che inizialmente sembrano sintetiche a posteriori possano
essere ricondotte, attraverso un’analisi più profonda, alla loro natura
analitica. Egli afferma infatti che (p. 337):
«Le
proposizioni sintetiche a posteriori possono diventare non solo
proposizioni sintetiche a priori, ma anche proposizioni analitiche:
allorquando il prolungamento dell’analisi del soggetto della
proposizione mostri che il predicato, manifestantesi in un primo momento
come una variante del soggetto, è invece una costante L-immediata del
soggetto».
Il
concetto chiave è che l’analisi del significato rivela che ogni
predicato, se autenticamente vero, è già incluso nel soggetto e nella
struttura necessaria dell’essere. In questo senso, il processo
conoscitivo non è una costruzione che aggiunge informazioni nuove, ma è
un disvelamento di connessioni che sono sempre già presenti (i.e.,
originarie).
Questa
impostazione metodologica è strettamente connessa alla nozione
severiniana della verità dell’essere come necessità. L’impossibilità che
l’ente non sia implica che ogni determinazione dell’ente sia già
strutturalmente connessa con il suo essere, e quindi il divenire non è
un uscire e un rientrare nel nulla, ma un apparire e uno scomparire
all’interno di una struttura eterna e necessaria e ciò ha una
implicazione precipua con la fenomenologia epurata da forme
nichilistiche (p. 12, introduzione):
«Ma
ne La struttura originaria la testimonianza dell’impossibilità che
l’ente non sia spinge verso la verità dell’essere anche il senso della
"fenomenologia", ossia del concetto dell’apparire dell’ente. La verità
dell’essere, come Necessità del legame che unisce ogni ente al suo
essere (cioè al suo non essere un niente), è insieme verità
dell’apparire dell’essere, cioè Necessità che il divenire dell’ente
appaia non come un uscire e un ritornare nel niente, ma come apparire e
scomparire di ciò che, in quanto ente, è necessariamente legato al suo
essere e, così, è eterno».
Questo
passaggio è fondamentale per comprendere perché la distinzione tra
proposizioni analitiche e sintetiche non abbia più senso nella
prospettiva di Severino: se il divenire stesso non è un passaggio tra
l’essere e il nulla, ma un’apparizione necessaria dell’immutabile,
allora anche la conoscenza non è un atto di sintesi che connette a
posteriori elementi «isolati», ma è il riconoscimento della necessità
originaria delle connessioni tra gli enti (i.e., del loro nesso
necessario).
Tale
struttura della Necessità si riflette anche nel modo in cui Severino
affronta il problema dell’autonegazione. Egli riconosce che ogni
tentativo di negare la struttura originaria porta necessariamente alla
sua riaffermazione, in quanto la negazione è sempre un momento interno
dell’essere stesso (p. 70):
«Ogni
aporia determina una situazione concettuale in cui la struttura
originaria si presenta come essa stessa negazione della immediatezza
logica, e quindi come autonegazione. Ma poiché la struttura originaria è
la Necessità, la cui negazione è autonegazione, che la struttura
originaria sia autonegazione può essere soltanto un’apparenza. Tale
apparenza è determinata dall’isolamento delle determinazioni
dell’originario. Ciò non significa che l’isolamento determini
apparentemente la contraddizione dell’aporia (l’implicazione tra
isolamento e contraddizione aporetica è infatti necessaria), ma
significa che solo apparentemente tale contraddizione è autonegazione
della struttura originaria, e che l’isolamento di una certa
determinazione dell’originario è appunto la causa di tale apparenza».
Questo
paragrafo rafforza la tesi che anche le affermazioni che sembrano porre
un’alternativa alla struttura originaria sono già comprese all’interno
della necessità della sua affermazione.
Severino
mostra dunque come la logica dell’essere renda impossibile qualsiasi
reale alternativa alla necessità della struttura originaria. Ogni
affermazione vera è necessaria, e ogni proposizione falsa è
autocontraddittoria. Ciò che inizialmente appare come conoscenza
sintetica è in realtà già incluso nell’analiticità dell’essere della
totalità. La traduzione delle proposizioni in proposizioni analitiche –
all'interno del dire diacronico – non è un’operazione arbitraria, ma è
il riconoscimento di una struttura che è già sempre presente e che non
può essere negata senza autonegarsi.
Pertanto,
Severino ci invita in ogni sua proposizione espressa in SO e nei suoi
scritti successivi a prendere sul serio la totalità e a porre attenzione
ad ogni isolamento semantico che fa sì che la parte isolata sia intesa
(controvertibilmente) come totalità di cui la parte è parte. Da qui la
necessità dell'analiticità del giudizio originario.
Emanuele Severino, La struttura originaria, 1981, 7ª ediz., Adelphi