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sabato 14 dicembre 2024

IA e opinioni sull'IA

 


Ora che l'Intelligenza Artificiale è uscita dal letargo dei laboratori di ricerca e inizia a dilagare nel quotidiano, come farebbe un liquido in una struttura porosa, è interessante analizzare le opinioni più disparate che vanno a conformarsi riguardo questa straordinaria tecnologia. Forse non è troppo semplicistico dire che le opinioni si dividono in due grandi famiglie, le quali approdano a conclusioni opposte. C'è chi si focalizza sui «limiti attuali» di un particolare sistema di IA e ne sciorina appunto le limitazioni mostrando caterve di esempi dove l'IA commette errori e chi si focalizza invece su come uno specifico sistema di IA sia stato capace di oltrepassare certi limiti – a questo punto creduti tali – specifici di un certo sistema di IA. 


In un interessante saggio sul linguaggio di Morten H. Christiansen dal titolo «Il gioco del linguaggio» (2022) [1] si dice che: «Per metterla in metafora, il linguaggio umano sta a GPT-3 come il cavallo sta all'automobile». Tale affermazione sovviene in un capitolo dove l'autore propone una serie di esperimenti (giochi linguistici) con GPT-3 con l'intento di mostrare i numerosissimi limiti del modello di linguaggio, incapace di rispondere a semplici domande o di compiere operazioni cognitive elementari che un umano compierebbe in un batter di ciglio. Per inciso, GPT-3 è un modello di linguaggio sperimentale creato nel 2020 e, ad oggi, è già preistoria. Tale modello aveva effettivamente limiti giganteschi nella comprensione del linguaggio e nella soluzione di semplici giochi linguistici. Tuttavia, lo diciamo subito per sgomberare il campo: se fornissimo gli esempi proposti ad un modello attuale come Gemini o GPT-4 (versioni «o» oppure «o1», quest'ultima dotata di «ragionamento esplicito») i limiti evidenziati nel saggio si dissolverebbero come la neve al sole. Ora è chiaro che l'autore de «Il gioco del linguaggio» va a collocarsi tra coloro che si focalizzano sui limiti di un particolare sistema di IA. Il punto dirimente è a quali conclusioni generali si giunge attraverso questa tipologia di analisi che, in un certo senso, è basata su ipotesi precostituite. In altre parole, appare che coloro i quali puntualizzano i limiti di tali sistemi stiano quasi tirando un sospiro di sollievo riguardo all'ipotesi implicita nella loro «analisi dei limiti» ovvero che la macchina è abissalmente differente dall'umano e le défaillance della macchina ne sono una prova galileiana. Il saggio in questione giunge a tali conclusioni.

Certo, dato uno specifico sistema di IA (e.g., un modello di linguaggio) i limiti ci sono e nello sviluppo tecnologico è necessaria anche quella particolare tipologia di analisi atta ad evidenziarli, che peraltro si colloca in una dialettica utile all'oltrepassamento di tali limitazioni. Ed è qui il punto centrale. Chi invece si focalizza sull'oltrepassamento dei limiti è colui che vede il miglioramento incrementale delle prestazioni. Si può questionare allora su qual sia l'ipotesi implicita a questo approccio che potrebbe sembrare addirittura ottimistico. Ebbene, l'ipotesi implicita si fonda su una specifica accezione della tecnica (alla base della tecnologia), secondo la quale la tecnica è essa stessa il superamento di un limite. La tecnica è l'umano come superamento del limite e ciò è palese almeno dai tempi dei miti prometeici. Prometeo rubando il fuoco agli Dei per donarlo agli umani supera il limite imposto dagli «immutabili» del suo tempo. 


Mentre coloro che si focalizzano sui limiti dell'IA sono intenti a dimostrare l'ipotesi implicita che vi è una separazione abissale tra l'umano e la macchina, chi si focalizza sul superamento del limite si fonda su una identità umano-macchina che era già nota ai pensatori post-mito dell'antica Grecia (e.g., Platone). 


Tutti ciò ci porta a riflettere su un punto e cioè che è necessario porre molta attenzione nel fornire giudizi definitivi sulle limitate capacità dell'IA e meditare su quali sono le ipotesi di partenza e le conclusioni cui si giunge. La tecnica è il continuo superamento del limite e l'IA si candida come massima espressione della tecnica.


Luciano Floridi, già professore di filosofia a Oxford, oggi direttore del Digital Ethics Center dell’Università di Yale a margine dell’evento «Orbits – Dialogues with Intelligence» [2], riferisce che con l'IA l'eccezionalità umana viene ridefinita: siamo «nature’s beautiful glitch», un'eccezione non fatale. Questa «eccezionalità» sembra quasi richiamare la separazione abissale uomo-macchina discussa in precedenza, sebbene Floridi rimanga ottimista in quanto tale eccezione è definita «non fatale». Il filosofo dell'informazione di Oxford poi continua [2]:


«Non sono gli androidi a raccogliere le fragole, ma macchine non antropomorfe che agiscono in un ambiente progettato per loro. Stiamo adattando l’ambiente alle macchine per permettere a queste di agire efficacemente senza intelligenza».


Qui Floridi coglie un punto importante e vi è una similarità – ma anche una grande differenza – con quanto ho scritto altrove [3] e cioè che l'IA sopraggiunge come dispositivo atto a riordinare l'intricata «foresta simbolica» operata dalla attività semiotizzante umana nata all'alba della civiltà, intenta a cospargere di segni il mondo circostante così da apparire intelligente in un ambiente-mondo «artificialmente» adattato. La «grande differenza» è che non vi è una netta separazione tra umano e macchina, in quanto la l'attività semiotizzante è opera della tecnica umana e l'operato dell'IA ne è un prolungamento. Il voler specificare che le macchine che raccolgono fragole non sono «antropomorfe» sembra voler sottolineare questa frattura tra umano e macchina che appare come una ipotesi di lavoro da confermare. Anche in questo caso appare un limite sebbene Floridi non giunga a conclusioni pessimistiche.


Un'ultima curiosità sul titolo «Il gioco del linguaggio» del su citato saggio sul linguaggio di Morten H. Christiansen. Tale titolo richiama vistosamente il cosiddetto «secondo Wittgenstein» il quale, dopo aver tentato di delimitare scienza e metafisica con la nota proposizione «Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere» del «Tractatus» [4], approda ad una visione olistica del linguaggio (e del significato) proponendo proprio una filosofia dei giochi linguistici basata su un approccio dialettizzante. Anche in Wittgenstein stesso appare un oltrepassamento di un limite, quello da lui stesso imposto quando giovane e rampante voleva sbaragliare il campo della filosofia aprendo la strada al cosiddetto «approccio analitico».


Nota: I cosiddetti «limiti epistemici» dell’IA non sono ritenuti nel presente scritto un argomento secondario. Un approfondimento sulle limitazioni intrinseche dell'IA, come quelle legate alla mancanza di esperienza incarnata (embodiment), e il loro possibile superamento, non solo necessitano di ulteriori elaborazioni (e spazio), bensì è necessario mostrare che esse stesse rientrano in una delle due particolari visioni, qui per altro solo accennate. Inoltre il problema dell'embodiement rientra ad oggi pienamente nelle possibilità della sperimentazione tecnologica.


_____________
[1] Morten H. Christiansen, Nick Carter, Il gioco del linguaggio, Ponte delle Grazie, 2022.
[2] https://ainews.it/lai-ha-fatto-divorziare-la-capacita-di.../
[3] Enrico De Santis, Umanità, Complessità, Intelligenza Artificiale. Un connubio perfetto. Aracne ed., 2021.
[4] Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 1921.


domenica 1 dicembre 2024

Elémire Zolla e la voce «simbolo» per l'Enciclopedia italiana del 900 (1982)

 

 Si dice conoscenza ‛non discorsiva', cioè distinta dall'organizzazione dei segni linguistici (anche se questi possono essere usati per indicare un simbolo o trasformarsi in simboli quando siano assunti nella sfera del rito o della poesia) e si aggiunge: eccedente rispetto a ogni enunciazione discorsiva, il che distingue il simbolo dall'allegoria, la quale può essere formulata in modo adeguato ed equivalente in termini discorsivi.

E. Zolla, «simbolo», Enciclopedia italiana del 900, Treccani, 1982

 

A mio modo di vedere il concetto di simbolo va rigorosamente distinto dal concetto di mero segno. Significato simbolico e significato semiotico sono cose completamente diverse.

C.G. JUNG, Tipi psicologici (1921), § 894, p. 483.

 

Oggi vogliamo proporre un testo che in un certo modo è raro. È raro in quanto esso è una sintesi di una tale intensità che ne fa un qualcosa di prezioso. È raro poiché ormai è parte delle pubblicazioni cartacee, qualcosa di altrettanto prezioso che il mondo digitale tenta di rendere obsoleto.

Stiamo parlando della voce «simbolo» redatta da Elémire Zolla per l'«Enciclopedia italiana del 900» edita da Treccani. Al termine dell'articolo si riporta il link al documento scaricabile.

Elémire Zolla (1926–2002) è stato uno dei più grandi studiosi e pensatori del Novecento, noto per il suo lavoro interdisciplinare che ha abbracciato filosofia, antropologia, religione e letteratura, con una particolare attenzione alla simbologia. La sua opera si inserisce nel più ampio contesto della riscoperta della conoscenza simbolica, che nel XX secolo si è affermata come via di conoscenza non discorsiva, distinta dalla semiotica, ma profondamente radicata in rapporti analogici oggettivi e universali. La simbologia, quale disciplina distinta, si pone come una forma di conoscenza orientata verso una realtà metafisica che trascende l’enunciazione razionale. Essa si radica in una griglia di corrispondenze universali, dove le realtà sensibili trovano il loro senso nelle forme archetipiche, le «forme formanti» da cui derivano le cose transitorie. Queste forme, a loro volta, rinviano al principio ontologico, il fondamento ultimo di ogni realtà. Il simbolo si distingue per la sua capacità plurisignificante, permettendo di cogliere in un istante il campo delle analogie che connette l’umano al trascendente, superando i limiti del tempo, dello spazio e del linguaggio discorsivo.

Tale concezione è stata riscoperta e approfondita nel Novecento da autori come René Guénon, Simone Weil e gli studiosi della Scuola di Lipsia, che hanno evidenziato la centralità del simbolo nel collegare mito, rito e proporzioni cosmiche. In questo contesto, Zolla si è distinto per la capacità di integrare prospettive diverse, mostrando come la conoscenza simbolica sia radicata in leggi universali, come i numeri, i ritmi e le proporzioni, che attraversano le culture e le epoche.

La simbologia del Novecento ha riportato alla luce una tradizione che era stata eclissata dal razionalismo moderno, recuperando temi quali il rapporto tra mito e realtà, la musica delle sfere e l'armonia cosmica. Tale risveglio ha permesso di recuperare temi di straordinaria profondità e universalità, come il rapporto tra mito e realtà, la musica delle sfere, e l’armonia cosmica, offrendo una nuova prospettiva su come l’uomo possa comprendere il proprio posto nell’universo. Il rapporto tra mito e realtà, centrale nella simbologia, rivela come le narrazioni mitologiche non siano semplici storie arcaiche, ma rappresentazioni profonde di archetipi e dinamiche psichiche che continuano a plasmare la condizione umana. I miti, interpretati attraverso una lente simbolica, si rivelano essere strumenti di accesso a verità universali e senza tempo, capaci di unire l’esperienza soggettiva individuale con un ordine cosmico più ampio. D'altra parte, la musica delle sfere, un concetto che risale a Pitagora e al pensiero classico, viene reinterpretata nel Novecento come un simbolo delle leggi armoniche che regolano il cosmo. Non si tratta solo di un'idea poetica, ma di una visione che considera il ritmo e le proporzioni universali come il linguaggio fondamentale attraverso cui si esprime l’ordine dell’universo. Questa prospettiva restituisce dignità alla concezione che vede il cosmo non come un meccanismo casuale, ma come una realtà intrinsecamente connessa e vibrante di significato. L’armonia cosmica, intesa come equilibrio tra le forze opposte che attraversano la natura e l’uomo, è un altro tema centrale riscoperto dalla simbologia del Novecento. Quest'armonia non è solo un principio teorico, ma una guida pratica per la vita umana, indicando come l’uomo possa vivere in accordo con i ritmi e le proporzioni che governano il mondo. Studiosi come Mircea Eliade e Carl Gustav Jung hanno avuto un ruolo fondamentale nel rinnovare questa disciplina, esplorando la funzione del simbolo non solo come rappresentazione di significati profondi, ma come strumento di trasformazione interiore. Mircea Eliade ha evidenziato come i simboli, e in particolare i miti e i riti, agiscano come "porte" verso il sacro, offrendo agli individui un’esperienza di trascendenza che li riconnette a una dimensione eterna e universale. Carl Gustav Jung, dal canto suo, ha enfatizzato il ruolo terapeutico del simbolo. In quanto manifestazione concreta degli archetipi dell’inconscio collettivo, il simbolo diventa un ponte tra il conscio e l’inconscio, permettendo di integrare gli opposti della psiche umana. Questo processo di integrazione non solo guarisce conflitti interiori, ma apre la strada a una maggiore consapevolezza e a una connessione più profonda con le dimensioni superiori dell’essere. Il simbolo, dunque, non è un semplice segno, ma una rivelazione del sacro, un linguaggio attraverso cui il trascendente si manifesta nel mondo umano. Esso opera come un mediatore, consentendo all’individuo di orientarsi in un universo complesso e apparentemente frammentato, trovando unità e significato. Attraverso il simbolo, l’uomo non solo esplora la propria interiorità, ma riscopre il suo legame con il cosmo, accedendo a una comprensione che supera i confini della razionalità e apre le porte alla dimensione spirituale.

Nella prospettiva di Zolla, il simbolo è un elemento essenziale per comprendere il mondo contemporaneo. Non è solo una finestra sul sacro, ma anche un invito a vivere in armonia con l'universo, interpretandone i segni come espressioni dell'unità e della complessità del cosmo. La sua opera dimostra come la simbologia non sia un residuo del passato, ma una chiave interpretativa per rileggere il presente e costruire un futuro in cui tradizione e modernità, materia e spirito, scienza e metafisica possano dialogare. 

In un’epoca dominata dalla tecnologia e dal razionalismo, Zolla ci invita a riscoprire il potere trasformativo del simbolo, riconoscendolo come strumento di conoscenza capace di riconciliare l’umano con il trascendente. La simbologia diventa così una via per trascendere i limiti del discorso, rivelando il profondo legame tra l'individuo e il cosmo, e offrendo una prospettiva di conoscenza che non solo illumina il passato, ma arricchisce anche il nostro presente.


Scarica il PDF dove è riportato il testo della voce «simbolo» redatta da Elémire Zolla per l'«Enciclopedia italiana del 900» edita da Treccani.


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